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Diventare uomo (Presentare “Tutte le fortune” all’ombra del Torrazzo)

“Quale sarà il menù, Ricky?”

Che strana domanda, Stepan non mi ha mai chiesto cosa avremmo mangiato a un ricevimento, a un convegno o semplicemente a una cena con un cliente o con un interlocutore.

“Non lo so proprio Stepan”

“Ma non ha neanche un’idea?”, insiste delicatamente Stepan.

“Sarà qualcosa di istituzionale, Stepan. Un classico primo, magari una scelta tra due o tre opzioni, un classico secondo, roast beef o vitello tonnato”. Le scelte dei menu dai catering sono sempre le stesse. Difficile che sorprendano. Ma in fondo il menu lo sceglie sempre il cliente. Non si capirà mai a chi dei due manca la fantasia.

Questa sera il cliente è il Lions Club Stradivari che con il Lions Club Duomo ha organizzato una cena in mio onore per presentare “Tutte le fortune”. In realtà è stato Luigi a volere la serata. L’ha voluta fortemente. Da quando ha letto la mia autobiografia non dice altro che è il più bel libro che abbia letto. Ma Luigi mi vuole bene, e l’affetto fa parlare il cuore più della ragione. Ci vedremo dopo non so quanti anni. L’ultima volta sarà stata senz’altro a Marilleva dove andavo in montagna. Rivedrò Roberto, che era presente alla presentazione ufficiale del libro, rivedrò Michele. Rivedrò tanti amici di Cremona che erano i miei compagni della montagna.

Chissà perché Stepan mi ha chiesto della cena? Infondo che cosa mi deve importare. Spesso i pensieri di Stepan prendono delle derive che solo lui conosce.

“E se servissero coniglio?”

“Non penso proprio”. Rispondo immediatamente a Stepan e riconosco una punta di risentimento nelle mie parole. Il coniglio.

“La carne di coniglio è cacciagione, ha un sapore particolare che può non piacere a tutti,” spiego a Stepan. Ma in realtà sto palesemente cercando di convincere me stesso.

“Ma come ti è venuto in mente il coniglio Stepan?”

“Niente… Così…”

Il coniglio mi è entrato dentro come un tarlo che scava velocemente. Già, il coniglio. La mia mente torna indietro di quarant’anni, alla Libia. A quella mattina che papà era arrivato a casa con tre coniglietti. Uno per ogni figlio. Con Papà avevamo costruito la conigliera alcuni giorni prima. Dove i conigli cominciarono a passare tutte le notti. Tutte le notti, perché il giorno erano sempre con noi a giocare. Un coniglio per ogni figlio. La garanzia contro i litigi.

I conigli erano cresciuti. Erano diventati adulti. Quando uscivamo in giardino la mattina ci raggiungevano e cominciavamo a giocare. Ma quella mattina papà ci stava aspettando alla conigliera. Aveva in mano un coltello. Aveva legato i conigli al legno. E noi dovevamo ucciderli, perché dovevamo diventare “uomini”. Ho rimosso il ricordo di come sono morti. Non so se ho ucciso il mio coniglio o l’aveva fatto papà. Ricordo il pianto e le urla di disperazione. Ricordo le urla di papà che sovrastavano le nostre “devi diventare un uomo!”. Di sicuro mi ricordo che avevo mangiato il mio coniglio a pranzo tra le lacrime. Un’altra prova voluta da papà per fare diventare un bambino di cinque anni un uomo in una sola mattina. Mamma piangeva. Cercava di proteggerci. Di fare smettere papà. Ma papà era ossessionato da qualcosa che forse neanche lui capiva in quel momento. Io non volevo diventare un uomo. Volevo essere un bambino e giocare con il mio coniglio.

Non sono più riuscito a mangiare carne di coniglio. A malapena riesco a mangiare la cacciagione. Se in uno stufato c’è l’ombra di carne di coniglio i conati prendono possesso del mio stomaco appena la forchetta si avvicina alla bocca. “Ma no, figuriamoci se stasera c’è coniglio”. Penso.

Arrivati a Cremona entro nell’albergo all’ombra del Torrazzo spinto da Stepan che governa la carrozzina con la solita maestria. Abbraccio Luigi.

“Ti ricordi di me?” mi chiede Michele.

“Come potrei non ricordarmi di te”. E ci abbracciamo.

Poi la sorpresa. Carlo è venuto da Reggio Emilia ad ascoltare la ennesima presentazione del libro. Carlo, anche Carlo, adora il mio libro. Sono avvolto dall’euforia di rivedere i miei vecchi amici, di rivedere Carlo. Intanto mi presentano i presidenti dei due Club che si sono uniti per questa serata. Ci dirigiamo verso tavola. Io prendo possesso della posizione dell’ospite d’onore. Alla mia sinistra i due presidenti in carica. Alla mia destra Stepan. Di fronte a me, Luigi, il promotore di questa serata.

La conversazione con i due presidenti è frizzante e piacevole.

All’improvviso capto la voce di Stepan che si rivolge al cameriere con estrema discrezione: “cosa c’è di secondo? “

“Coniglio”, risponde con altrettanta discrezione il cameriere.

Nell’istante successivo il mio stomaco mi lancia un segnale minaccioso, Stepan salta in piedi e chiede al cameriere di accompagnarlo in cucina. Torna con il suo sorriso compiaciuto. Si siede. Si avvicina al mio orecchio e mi sussurra: “stia tranquillo Ricky, di secondo per lei c’è dello speck”.

I pensieri di Stepan seguono sempre dei percorsi che solo lui conosce.

“Porc … la carr…”

Stepan ripete meccanicamente i gesti che compie da cinque anni. Quasi sei. Apre il cancello del nostro cortile. Entra con la macchina. La parcheggia. Scende. Apre il bagagliaio. Poi, apre la mia portiera. Mi trasferisco sulla carrozzina. Entriamo in casa.

Mezz’ora prima siamo usciti da Aida ripetendo altri gesti meccanici. Mi aiuta ad alzarmi dalla carrozzina e scendere i sei gradini nel cortile del condominio. Mi appoggia in macchina.

Arrivati a casa lottando con il traffico, esegue la routine fino all’apertura della mia portiera. La procedura si interrompe, mi sta guardando con un sorriso stirato. Le labbra increspate. Gli occhi che guizzano da un lato all’altro come se cercassero una via di fuga. Deglutisce rumorosamente.

“Ricky, dobbiamo tornare in Aida…”. Lo dice con lo spirito del condannato aspettandosi che si scateni un uragano.

“Cazzo – penso – il cellul…”.

Non faccio in tempo a finire che Stepan mi stende. “Mi sono dimenticato la carrozzina”.

“Questo fine settimana pubblichi un post sul blog, me lo merito”.

……

Dopo cena, al telefono con Rossella.

“… e così mi dice che si è dimenticato la carrozzina”. Concludo ridendo e spiegando che è una settimana che lavora come un dannato. Per questo non ho intenzione di pubblicare nulla sul blog.

“Beh Ricky, poteva capitare di peggio. Poteva dimenticare te!”

Decido di scrivere il post.

 

17 febbraio 2017

dimenticarsi

RINCORRERE ITALO TRENO (episodio 1)

Prima leggi: “CRONACA DELL’INFARTO (parte 2) (… Dove si racconta di Stepan alla guida)

“No cazzo, Stepan! Un altro!”

Il mastodonte verde si ferma. Gli operatori saltano a terra. Afferrano i sacchi neri pieni di spazzatura accumulati sul marciapiede e li scaraventano nella trituratrice. Velocemente. Ma senza esagerare. Ripartiamo come ho sempre vietato a Stepan di guidare: come se non ci fosse un domani. Stamattina è necessario.

Siamo in ritardo. Un ritardo infernale. Abbiamo un appuntamento a Roma alle 13:00, un colloquio con Arianna. Alle 14:00 una riunione con Marco e Dario dell’ufficio informatico di Legambiente. Alle ore 15:30 si aggiungerà Milena, la responsabile comunicazione. In coda Nunzio, il direttore amministrativo. Intanto dobbiamo arrivare alla Stazione Centrale, sul binario di Italo. Parte alle ore 9:15. E non aspetta.

Sono le 8:55 e siamo ancora in via Ripamonti. Siamo entrati da via Pampuri. Il tempo di arrivare al primo semaforo e siamo bloccati. Coda fino al comando dei carabinieri. E oltre.

Dobbiamo sparigliare. Via Ripamonti è una trappola di traffico. Un paio di chilometri di sabbie mobili dove le macchine si impantanano senza nessun appello a tutte le ore del giorno. È sufficiente un’auto parcheggiata non perfettamente allineata che il tram non passa più. È una piccola disattenzione che riesce a bloccare il lato sud di Milano. Reagiamo.

Giriamo a sinistra in via Noto. L’accelerazione di Stepan è bruciante e continua fino in fondo a via Verro. Non c’è in giro nessuno. Forse ce la facciamo. Mi illudo. Sono tutti in via Antonini. La attraversiamo e prendiamo via Ghini. Inchiodiamo allo stop. Sterziamo a sinistra in via Fontanili. I pneumatici fischiano mentre raschiano l’asfalto. Stepan inchioda un’altra volta. Alzo gli occhi e vedo otto vetture davanti a noi.

“Cazzo! No! Cazzo! … Un altro!”

Il pachiderma verde della nettezza urbana sta ingoiando sacchi.

“Stepan! A destra!”

“Qui?”

“Certo! Dai!”

Accelera in via Astura. Pochi metri e siamo in fondo. Stepan si lancia a destra in via Rutilia.

“Porca merda! Non ci posso credere… Ancora! Un altro… Cazzo! Non ce la faremo mai!”

Sono le 09:02. Italo parte tra 13 minuti. Stepan ha eseguito tutte le mie indicazioni diligentemente. Non ha commentato. Non ha criticato. Forse si sta anche divertendo.

“Cazzo Stepan, doveva succedere prima o poi. Avviso Legambiente che arriveremo tardi…”. Siamo appena tornati su via Ripamonti.

“Andiamo alla stazione di Rogoredo”, propone Stepan.

“Magari… Ma non c’è l’ascensore e sul binario non c’è il montacarichi…”, mi sto per rassegnare. Invece guardo Stepan che sta ancora aspettando la risposta definitiva: “sei un genio! … Gira a destra e corri!”. Da Rogoredo Italo parte alle 9:24. Niente. L’unica speranza è che parta in ritardo.

 

Novembre 2016

 

rifiuti

 

 

Retroscena a “La vita in diretta”

Marco Liorni ha appena lanciato il servizio. Alcune badanti stanno raccontando la loro vita nelle famiglie milanesi.

“Stepan, quando rientriamo in studio riprendo da te. Ti chiedo com’è lavorare con Riccardo”. Marco Liorni mette sul chi va là Stepan.

“Ok”. Stepan risponde con sicurezza.

Un colibrì non farebbe in tempo a battere le ali una sola volta che Stepan affonda le unghie nel mio avambraccio. Mi guarda controllandosi. Nonostante lo sforzo la sua preoccupazione sta sgorgando da ogni poro.

“Ricky, cosa dico…?”

“Di quello che pensi Stepan, dì la verità”. Sospetto cosa dirà, ma mi sono ripromesso di essere sempre onesto con i miei lettori.

Il servizio finisce. Le telecamere in studio si riattivano. Marco Liorni annuncia il rientro e guarda Stepan con un sorriso rassicurante.

“Stepan. Com’è lavorare con Riccardo?”

“Prima di tutto – esordisce Stepan – Riccardo è un gran rompiscatole…”

 

Clicca qui e guarda l’intervista

 

29 febbraio 2016

La vita in diretta Continua a leggere

IL SOMMELIER UCRAINO (parte 2-fine)

Ottobre. Torniamo a Rispescia per il secondo appuntamento di “Creare valore con i valori”. Stepan si muove come se fosse sempre stato nel “Centro permanente di educazione ambientale”. È così limpido che è impossibile non volergli bene. Vedere Francesco salutarlo con entusiasmo è un piacere.

Venerdì. A pranzo, nel Ristorante Girasole, stiamo terminando. Ci prepariamo a partecipare al confronto sui valori delle aziende sostenibili. I tavoli quadrati da otto posti cominciano ad avere le prime sedie vuote.

“Dai, Stepan, mi bevo un goccio di vino “

“Però le servo quello speciale Ricky…”

“Tanto per me è uguale Stepan…”

Stepan vede una nuova opportunità per iniziarmi. Si allunga sul tavolo verso la bottiglia di vino rosso, “di qualità”. La prende. Si siede. Mesce il vino nel calice. Lo appoggia davanti a me. E con immenso rispetto per il liquido rosso, immerge delicatamente la cannuccia. Gesti meccanici. Che esegue diligentemente da cinque anni. Ma questa volta un leggero velo di imbarazzo gli attraversa il viso. Cannuccia e vino: accostamento orribile.

La mano di Stepan si allontana lentamente dalla cannuccia. Improvvisamente torna verso il piccolo tubicino grigio. Stepan mi lancia un’occhiata quasi di traverso. Il sopracciglio sinistro alzato. Un ghigno appena accennato. Toglie la cannuccia. Afferra la base del calice e lo muove con un movimento del polso. Con maestria. Il vino ruota scaldando le pareti del calice.

Stepan continua a guardarmi con l’espressione “Ricky, le sto per servire un capolavoro”. Un gesto deciso del polso. Il calice si ferma. Il vino rallenta la rotazione. E un attimo prima che si fermi me lo fa annusare. Poi assaggiare.

Bevo. E mentre lo mando giù, Stepan mi interroga con lo sguardo.

Guardo Stepan con l’espressione “per me è uguale a tutti gli altri…”. Stepan alza gli occhi al cielo. Si fa cadere verso lo schienale della sedia. Svogliatamente prende la cannuccia dalla tovaglia. La butta grossolanamente nel calice e lo spinge verso di me con un gesto di sufficienza. Con l’espressione “meriti di bere con la cannuccia”. Poi si apre nel suo tipico sorriso.

Ottobre 2016

RICKY&STEPAN

Il “sommelier” alla stazione

PRIMA LEGGI: “Il sommelier ucraino (parte 1)”

PRIMA LEGGI: “Finché c’è la salute …”

Roma. Stazione Tiburtina. Il Binario 6 è più affollato del solito. Sciopero dei mezzi pubblici, una pioggia inarrestabile, “Black Friday” sono i complici della massa di umanità che ci circonda.

Fabrizio ci ha raggiunti al bar, pronto ad assistermi a montare in carrozza. La carrozza 8 di Italo, quella attrezzata per i disabili.

“Perché non ci spostiamo più avanti? Di solito la carrozza 8 si ferma là”, suggerisce Stepan, preoccupato dalla muraglia umana e che dobbiamo fendere con carrozzina, montacarichi e trolley.

“Non è detto – risponde Fabrizio – dipende anche da come è partito il treno”.

“Ma di solito …”, Stepan prova a insistere.

Fabrizio, ridendo lo interrompe: “ao,…  Stepan, che dopo il sommelier vuoi fare anche il capotreno…?”. Lasciamo Roma accompagnati dall’eco della risata.

La carrozza 8 si è fermata al solito posto. Dove aveva indicato Stepan.

 

26 novembre 2016

tiburtina

IL SOMMELIER UCRAINO (parte 1)

 

È appena arrivato. L’inizio è promettente. Come quello di tutti i badanti, i 49 che lo hanno preceduto. È allegro. Ha la lingua sciolta. Potrebbe anche risultare simpatico.

Chiacchiera. Racconta le sue passioni. Sopra tutte, il vino. Ma “di qualità”, come sottolinea tutte le volte che racconta dei suoi rossi preferiti. “Fruttato”, “retrogusto”, “mosso”, “persistente”. Narra, spiega, dimostra e mi stordisce con il gergo dei sommelier. Non riesco a fargli capire che, se non in casi veramente eccezionali, non posso bere alcun alcolico. E che se potessi non riconoscerei i gusti, figurarsi i retrogusti.

Stepan non perde mai la speranza. Conclude sempre con un convinto: “Le farò assaggiare io i vini buoni, di qualità”, come ama sottolineare sempre. E ogni tanto ci prova. “Sa, Ricky, ieri sera ho assaggiato un vino top. Lo so perché conosco bene i vini, quelli rossi, mi ha insegnato un amico nei sei mesi che sono stato a Nizza”. Questa di un ucraino esperto di vini non mi convince. Anzi.

Dopo cinque anni e vari fallimenti a iniziarmi all’arte di Bacco, entriamo nel piazzale del “Centro permanente di educazione ambientale” di Legambiente a Rispescia: la vera casa dell’associazione. Angelo Gentili e Rita Tiberi hanno preparato un evento che non ci dimenticheremo facilmente. “Creare valore con i valori”, il workshop che segna il nuovo corso del rapporto tra Legambiente e le imprese, incomincerà con una cena di conviviale.

Cinque lunghe tavolate. Intorno, i tavoli con gli antipasti. Ognuno con un prodotto tipico maremmano e il suo produttore d’eccellenza. Siamo nel regno di Francesco Gentili, il guru dell’enogastronomia della Maremma. Gli presento Stepan raccontandogli della sua passione per il cibo e i vini, di qualità.

“Ricky, le devo raccontare una cosa troppo importante…”. Stiamo rientrando in camera. Terminata la cena Stepan si era allontanato. Tavolo dopo tavolo, si era intrattenuto con i produttori.

“Francesco, era al tavolo di un produttore di vini – racconta Stepan senza trattenere l’emozione – mi ha fatto assaggiare dei vini rossi fantastici e me li ha spiegati dicendomi che il secondo era il migliore. Io non ero d’accordo e gli ho spiegato perché…” e ha profuso una sequela di retrogusti, persistenze, fruttati e altri termini mai sentiti prima.

“Allora Francesco li ha assaggiati nuovamente e mi ha detto che avevo ragione…” e continua a guardarmi con le emozioni che stanno raggiungendo le stelle sopra di noi. “Si rende conto? Ha detto che ho ragione! Si rende conto cosa significa per me?”. La storia di un ucraino esperto di vini continua a non convincermi, ma c’è un’eccezione.

 

Giugno 2016

RICKY&STEPAN

 

Il cerottino annegato

Stepan spreme il disinfettante dal batuffolo di cotone sul cerottino rotondo che fissa l’ago per l’infusione sottocute delle immunoglobuline alla pancia. Lo fa con tanto vigore che il cerotto potrebbe annegare. Poi, con estrema attenzione solleva meticolosamente il bordo del cerottino tutto intorno. Quindi, afferra il piccolo cerchio a due estremità opposte. Si concentra. E tira violentemente verso l’alto.

“Ahia…”. Lo dico tanto per dire qualcosa. Alzando leggermente la voce per darmi un tono.

“Cosa c’è Ricky?” domanda Stepan tanto per partecipare alla conversazione.

“Forse sta tornando la sensibilità”, rispondo tanto per…

“Forse sta tornando la sensibilità, o forse stanno crescendo i peli”, sentenzia Stepan.

6 ottobre 2016

(Ogni due mesi circa mi depilo petto e addome. Sopporto tutto, ma non i peli strappati dai cerotti)

Leggi anche: “Il rompiscatole (io), il badante e l’elettrodo”

 

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DI NUOVO UNA PORSCHE PANAMERA

Prima leggi: la sostenibilità vista da Stepan

“Stepan… Lampeggia…”.

Il TIR procede stancamente nella corsia centrale dell’autostrada adriatica rispettando rigorosamente il limite di velocità. 80 all’ora. Il caldo afoso del primo sabato di luglio sembra appesantirlo. La Fiat Uno blu scassata lo sta superando, forse. Arranca faticosamente. Ha raggiunto la metà del rimorchio e procede istericamente verso la motrice. Sta dando il massimo. Tutta se stessa. Sta combattendo sola contro tutti: l’autoarticolato, il caldo, la pressione. Dietro, una Porsche Panamera sta ringhiando. Soffre l’andatura ridotta, la sua libertà castrata. I cavalli dell’otto cilindri imbrigliati si trattengono a stento, non vedono l’ora di spianare la piccola utilitaria arrugginita.

Ci accodiamo e assistiamo allo sforzo del piccolo ammasso di rottami.

Intanto osservo  il retro della Porsche Panamera. Le linee arrotondate nella tradizione della casa. I pneumatici larghi che mordono l’asfalto. I tubi di scappamento che annunciano tutta la sua potenza.

“Stepan…”

“Si Ricky…”

“Lampeggia…”.

Le sopracciglia di Stepan si alzano leggermente.

“Ma… Ricky…”. Stepan è confuso. Guarda la Panamera bloccata dalla Fiat Uno, l’autoarticolato sulla nostra destra.

“Lampeggia, Stepan…”. Le sopracciglia di Stepan si alzano fino a invadere la fronte. Si fa serio e assume l’espressione tipica di quando si prepara a darmi una spiegazione complessa. Sta per abboccare.

“Vede Ricky. Se lampeggio non ha senso. La Porsche non ci può lasciare passare perché non ha spazio. E non può neanche accelerare finché la Fiat Uno non avrà superato il camion. In quel momento la Porsche potrà accelerare e ci lascerà indietro. Quindi, logicamente, non ha senso lampeggiare”.

“Appunto Stepan. Quando ti ricapiterà l’occasione di lampeggiare a una Porsche Panamera?”. Sorrido malizioso.

Ripartiamo dall’autogrill, la pancia riempita da un boscaiolo, un Krapfen e una coca-cola. In pochi metri Stepan raggiunge la velocità di crociera. La corsia di sorpasso è vuota. A dire il vero, l’autostrada davanti a noi è tutta libera. Le macchine sono parcheggiate negli autogrill presi d’assalto dai turisti del fine settimana.

Stepan scarta verso destra. Improvvisamente. La botta di adrenalina mi richiama dal torpore che mi stava assalendo. In un istante siamo nella corsia di destra e l’istante successivo siamo dietro alla Porsche Panamera che procede lentamente. Una manovra assurda, inutile e dannatamente pericolosa.

“Cazzo fai Stepan?!”. Sto per servirgli un sonoro cazziatone. Prendo fiato e mi giro verso il mio badante che ogni tanto mi mette nelle condizioni di strigliarlo. I nostri occhi si incrociano. Esito. La sua espressione da discolo mi sorprende.

“Ricky… Lampeggio?”.

Luglio 2015