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MEDICINA ALTERNATIVA: TENTATIVI GROTTESCHI

Tentativo 1
“Riccardo, non ti cambiare la maglietta con cui dormi per quindici giorni. Poi dammela”.
“E…”, rispondo a papà invitandolo a dare seguito all’assurda richiesta con una spiegazione.
“Tu non ti preoccupare, dormi quindici giorni con la stessa maglietta e poi dammela”.

Une breve schermaglia dialettica e ricevo la spiegazione. Più assurda della richiesta. L’ultima volta che era stato in Libia per lavoro papà aveva raccontato ad un amico dei miei problemi di salute. La CIDP risiedeva ancora nella categoria dei “misteri”. Non aveva ancora il nome ufficiale. E questo alimentava la sgradevole sensazione di incertezza. Non avere un nome, d’altra parte, è non avere un’identità. È negare l’esistenza. Oppure è brancolare nel buio nel quale si sta cacciando. Di fronte alle risposte vaghe di papà sull’essenza della malattia l’amico, come ogni buon libico che si rispetti, aveva la risposta definitiva.

“Ottavio, vieni con me. Ti porto da uno bravo che risolve tutti i problemi”.

Dopo due ore di auto su una strada bianca nel djebel raggiungevano una tenda da beduini. Sotto una specie di anziano santone. L’amico racconta del mio problema.

“Ottavio, dice che devi portargli tuo figlio”.
“Non posso, non gli concedono il visto di entrata”. La Libia era in uno dei suoi periodi di isolazionismo.
“Allora dice di portargli una maglietta dove abbia dormito per almeno quindici giorni”.

Papà parte per la Libia. Porta la maglietta sotto la tenda da beduini. E torna trionfante con la soluzione.

“Ha toccato la maglietta e ha capito tutto. Dice che hai un problema nervoso. Si risolve prendendo olio di semi di arachidi e un infuso a base di cespuglio del deserto”. Che papà, diligentemente, si era fermato a raccogliere appena uscito dalla tenda.

Per settimane ho bevuto olio di semi di arachidi e un intruglio nauseante. Appena l’entusiasmo di papà è passato, senza dirgli niente, ho smesso.
Tentativo 2

Il pianerottolo è anonimo. Come lo è il palazzo di via Palmanova. È anonimo l’appartamento. E la signora che ci riceve. A dire la verità non ho capito bene cosa siamo venuti a fare. “Mi ha garantito che se c’è qualcuno che ti può dire cosa sta succedendo è proprio lei”. Quest’incontro l’aveva suggerito a papà il medico che abitava sotto di noi. Si era fatto convincere senza sforzi. E io mi ero lasciato trascinare.

Ci accomodiamo a un tavolo anonimo e, dietro richiesta della signora, racconto dei miei problemi. La signora, concentratissima, divora ogni mia parola. Quando ho finito la signora chiude gli occhi con forza. Se li stropiccia ruvidamente con i palmi delle mani. Sospira. Mi guarda. Ed emette il primo verdetto.

“Si, si può fare. Userò i tarocchi. Con permesso”. Si alza ed esce dalla stanza.
“Cazzo papà! Una cartomante! Mi hai portato da una cartomante…”. La mia indignazione, le mie urla, sono strette in un sussurro.
“Non fare il pirla, Riccardo. Per piacere…”, contro sussurra papà per metà scusandosi e per l’altra metà minacciandomi.

La signora rientra con le carte. Si siede di fronte a me. Mescola i tarocchi. Mi fa tagliare il mazzo. Dispone le carte sul tavolo. Le analizza. Spiega che i tarocchi non mentono mai. E ci dice cosa raccontano. Raccontano che ho una malattia neurologica e si lancia nella descrizione dei sintomi che le avevo fatto cinque minuti prima. Lancio un’occhiata fulminante a papà. Che mi risponde con un’occhiata eloquente: “non fare il pirla”.
Interrompo la signora spiegandole che i medici mi hanno illuminato prima dei tarocchi. La esorto a dirmi le cause. La signora risponde alzando un sopracciglio. Raccoglie le carte. Le mescola. Le taglio. Le dispone sul tavolo. Le studia per un lunghissimo minuto, ora sospirando perplessa ora tamburellando con le dita. Si appoggia allo schienale della sedia. Raccoglie i pensieri e mi domanda se ho mai sofferto per una donna. La domanda delle domande. O meglio, la tela del ragno pronta a imbrigliare la coscienza di chi ha bisogno. “Certo cazzo che ho sofferto per una donna. Chi non ha sofferto per una donna”. Il pensiero saetta dai miei occhi a quelli di papà. Che mi risponde con uno sguardo penetrante che esprime il rituale: “non fare il pirla”. Sto al gioco.

“Si, si chiama Valeria”. E racconto sommariamente della storia con Valeria. Fatta di corna che ho portato con poca dignità, tradimenti e sofferenza.
“Infatti, lo dicono anche le carte. E tu l’hai trattata male?”
“Si. Alla fine si”.
“Ecco, lo dice questa carta”, mi conferma la signora indicando un tarocco. Poteva indicarne uno diverso che per me valeva tanto quanto. Si concentra sulle carte. Mi guarda fisso negli occhi. E con fare solenne conclude.
“Valeria ti ha fatto il malocchio perché l’hai trattata male. Te l’ha fatto in Toscana”.
Vorrei tanto ignorarla. Ma mi scappa una domanda. “Quando?”
“Tre anni fa. Era dicembre”.
“È sicura?”
“Le carte non sbagliano mai”.
“Bene. Bene”. Faccio una pausa per catturare tutta l’attenzione della signora. “Tre anni fa Valeria e io non ci conoscevamo”.
“Certo – risponde prontamente la signora – te l’ha fatto in modo che siattivava se la trattavi male”.
Non riesco più a stare zitto. “Cos’è? Un malocchio preventivo al buio?”
“Esatto… In che senso al buio?”. La signora è visibilmente confusa.

 (1989-1990)

GUARIRE DALLA CIDP CON L’ESORCISMO

Si, ho fatto anche questo. Mi sono fatto esorcizzare. Non perché ci creda. Il mio rapporto con Dio in quel periodo era sostanzialmente nullo. Non ci credevo. E non per colpa della CIDP. Ho accettato di farmi esorcizzare per non sentire più la mamma insistere.

“Monsignor Milingo sarà ad Arluno tra due settimane…”. Mamma la butta lì. Distrattamente. Come se aprendo la bocca fosse cascata fuori inavvertitamente.

“E chi è?”. Rispondo tanto per fare conversazione.
“È un vescovo. Una delle pochissime persone autorizzate dal Vaticano a compiere esorcismi…”.
Capisco al volo. “Dai mamma, non vorrai mica che…”.
“Perché no? Cosa ti costa?”
“Niente… Non mi piacciono queste cose, lo sai…”.
“Ma fallo, non ti costa niente. Almeno ci togliamo lo scrupolo. Escludiamo questa eventualità”. L’eventualità del malocchio. Dell’essere posseduto.

La pressione della mamma diventa ogni giorno più forte. Si è fissata. Non smetterà. Anche se dovessi scampare questo giro, Milingo tornerà. E mamma ricomincerà a premere. Meglio cedere. Levarmi il pensiero al punto che voglio essere uno dei primi. Zia Tere, la sorella maggiore della mamma, mi spiega il meccanismo. Monsignor Milingo riceve in un capannone alla periferia di Arluno. La mattina presto i suoi assistenti distribuiscono da dietro il cancello i biglietti numerati ai fedeli. Gli esorcismi iniziano verso la tarda mattinata.
Alle undici di notte guido la macchina lentamente lungo la strada sterrata che porta dalla comunale al capannone. Non c’è in giro nessuno. Sono il primo. Scendo. Mi avvicino al capannone immerso nel buio. Mi fermo davanti al cancello delle auto. Sulla destra il cancelletto per le persone. È coperto da una piccola struttura in cemento dalla quale penzola una lampadina che emana una luce fioca. Un brivido lungo la schiena completa lo scenario inquietante. Risalgo in auto e parcheggio sul lato della strada bianca a una decina di metri dal cancello. Mi chiudo nel cappotto e mi addormento.
Passi. Fanno scricchiolare la ghiaia. Lontani. Poi più vicini. Controllo che le portiere siano ben chiuse. Non si sa mai. Lo specchietto retrovisore mi rivela due persone anziane. Si avvicinano al cancelletto. Si inginocchiano. Reclinano il capo in avanti. Dopo pochi secondi si alzano e se ne vanno. Non ho mai visto tanta devozione. Riverire il luogo dove verranno esorcizzati. Il passaggio che li porterà verso la benedizione. Mezzanotte è passata da un po’. Stringo la sciarpa e mi riaddormento.
Ancora passi. Sono quasi le due. Due coppie poco distanti l’una dall’altra passano oltre la mia Nissan Micra nera. Si inginocchiano pochi secondi davanti al cancelletto. Si alzano e si allontanano. Quanta devozione…
La processione continua tutta la notte. Alle prime luci dell’alba mi sveglio e vedo una specie di coda di fedeli in attesa di inginocchiarsi di fronte al cancelletto. Degli assistenti di Milingo ancora nessuna traccia. Qualcosa non torna. Scendo dall’auto e mi avvicino al cancelletto. “No! Cazzo! Porca miseria!”. Le imprecazioni rimangono nei pensieri. Sono incazzatissimo. Altro che devozione. Si inginocchiavano per prendere il numerino nascosto sotto una piastrella. Sono uno degli ultimi!
Mamma e io varchiamo finalmente la soglia del cancelletto. Sono le cinque del pomeriggio quando entriamo nel capannone. Trasformato in chiesa per l’occasione è stracolmo. Aspetto il mio turno. Mi chiamano. E con me chiamano una ventina di persone. Entriamo in una stanza sul retro del capannone. Milingo ci sta aspettando con due assistenti ai lati piantati come due giocatori di rugby. Esorcismo di massa. Milingo pronuncia il rito. Dall’altra parte della stanza, seduto su una panchina, un transessuale accenna reazioni da esorcizzato. Voce profondissima, parole incomprensibili, leggeri tremori, un accenno di schiuma alla bocca. Nulla di che. Sembra stia recitando. Guardo la mamma piuttosto perplesso. Terminato il rito gli assistenti raccolgono le offerte libere.
Nulla di fatto. La mano destra continua ad essere una quasi-appendice. Mamma si è tolta lo scrupolo.
(1993, circa)

MEDICINA ALTERNATIVA: AGOPUNTURA

PRIMA LEGGI: L’Inizio… Ilcortisone e l’abbandono della medicina tradizionale

Quando le cose non funzionano. Quando gli eventi mi provocano un fastidioso e inarrestabile prurito sulla colonna vertebrale. Quando le cose della mia vita mi passano sopra la testa come se fossi uno spettatore. Quando succedono queste cose, prendo prepotentemente il controllo. Continuo ad ascoltare gli altri, ma decido io. Velocemente e chirurgicamente. Assumendomi ogni responsabilità.
La medicina tradizionale sta fallendo. Non ha un’alternativa al cortisone. Non è trasparente a proposito degli effetti collaterali che mi espongono a rischi che non posso neanche immaginare. Istantaneamente perdo fiducia negli ospedali. E reagisco. Mollo tutto. Da un giorno all’altro. Chiudo con ospedali, cortisone e medici tradizionali e mi affido ad un medico specializzato in agopuntura. Che come primo intervento mi aiuta a liberarmi del cortisone. Interrompo da un giorno all’altro, senza scalare le dosi. Il mio corpo reagisce abbastanza brillantemente. La testa meno. Passo la giornata in uno stato di semi-anestesia. Il cervello intorpidito da una specie di crisi di astinenza. Ed è una giornata in cui mi sposto da un appuntamento all’altro per la campagna di vendita degli spazi pubblicitari de “La Borsa inTasca”, la guida sulla borsa italiana pubblicata da MGD.
Gli anni della agopuntura sono stati anni di miglioramenti. Poi, così come ero migliorato, peggioro. Negli occhi della dottoressa l’incertezza cresce. Diventa smarrimento. Gli aghi hanno fatto il loro tempo. Devo pensare a una strategia alternativa.
Una sera, a cena mamma mi racconta dell’incontro con uno stronzo di neurologo del San Raffaele.
(1992-1995)