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Diventare uomo (Presentare “Tutte le fortune” all’ombra del Torrazzo)

“Quale sarà il menù, Ricky?”

Che strana domanda, Stepan non mi ha mai chiesto cosa avremmo mangiato a un ricevimento, a un convegno o semplicemente a una cena con un cliente o con un interlocutore.

“Non lo so proprio Stepan”

“Ma non ha neanche un’idea?”, insiste delicatamente Stepan.

“Sarà qualcosa di istituzionale, Stepan. Un classico primo, magari una scelta tra due o tre opzioni, un classico secondo, roast beef o vitello tonnato”. Le scelte dei menu dai catering sono sempre le stesse. Difficile che sorprendano. Ma in fondo il menu lo sceglie sempre il cliente. Non si capirà mai a chi dei due manca la fantasia.

Questa sera il cliente è il Lions Club Stradivari che con il Lions Club Duomo ha organizzato una cena in mio onore per presentare “Tutte le fortune”. In realtà è stato Luigi a volere la serata. L’ha voluta fortemente. Da quando ha letto la mia autobiografia non dice altro che è il più bel libro che abbia letto. Ma Luigi mi vuole bene, e l’affetto fa parlare il cuore più della ragione. Ci vedremo dopo non so quanti anni. L’ultima volta sarà stata senz’altro a Marilleva dove andavo in montagna. Rivedrò Roberto, che era presente alla presentazione ufficiale del libro, rivedrò Michele. Rivedrò tanti amici di Cremona che erano i miei compagni della montagna.

Chissà perché Stepan mi ha chiesto della cena? Infondo che cosa mi deve importare. Spesso i pensieri di Stepan prendono delle derive che solo lui conosce.

“E se servissero coniglio?”

“Non penso proprio”. Rispondo immediatamente a Stepan e riconosco una punta di risentimento nelle mie parole. Il coniglio.

“La carne di coniglio è cacciagione, ha un sapore particolare che può non piacere a tutti,” spiego a Stepan. Ma in realtà sto palesemente cercando di convincere me stesso.

“Ma come ti è venuto in mente il coniglio Stepan?”

“Niente… Così…”

Il coniglio mi è entrato dentro come un tarlo che scava velocemente. Già, il coniglio. La mia mente torna indietro di quarant’anni, alla Libia. A quella mattina che papà era arrivato a casa con tre coniglietti. Uno per ogni figlio. Con Papà avevamo costruito la conigliera alcuni giorni prima. Dove i conigli cominciarono a passare tutte le notti. Tutte le notti, perché il giorno erano sempre con noi a giocare. Un coniglio per ogni figlio. La garanzia contro i litigi.

I conigli erano cresciuti. Erano diventati adulti. Quando uscivamo in giardino la mattina ci raggiungevano e cominciavamo a giocare. Ma quella mattina papà ci stava aspettando alla conigliera. Aveva in mano un coltello. Aveva legato i conigli al legno. E noi dovevamo ucciderli, perché dovevamo diventare “uomini”. Ho rimosso il ricordo di come sono morti. Non so se ho ucciso il mio coniglio o l’aveva fatto papà. Ricordo il pianto e le urla di disperazione. Ricordo le urla di papà che sovrastavano le nostre “devi diventare un uomo!”. Di sicuro mi ricordo che avevo mangiato il mio coniglio a pranzo tra le lacrime. Un’altra prova voluta da papà per fare diventare un bambino di cinque anni un uomo in una sola mattina. Mamma piangeva. Cercava di proteggerci. Di fare smettere papà. Ma papà era ossessionato da qualcosa che forse neanche lui capiva in quel momento. Io non volevo diventare un uomo. Volevo essere un bambino e giocare con il mio coniglio.

Non sono più riuscito a mangiare carne di coniglio. A malapena riesco a mangiare la cacciagione. Se in uno stufato c’è l’ombra di carne di coniglio i conati prendono possesso del mio stomaco appena la forchetta si avvicina alla bocca. “Ma no, figuriamoci se stasera c’è coniglio”. Penso.

Arrivati a Cremona entro nell’albergo all’ombra del Torrazzo spinto da Stepan che governa la carrozzina con la solita maestria. Abbraccio Luigi.

“Ti ricordi di me?” mi chiede Michele.

“Come potrei non ricordarmi di te”. E ci abbracciamo.

Poi la sorpresa. Carlo è venuto da Reggio Emilia ad ascoltare la ennesima presentazione del libro. Carlo, anche Carlo, adora il mio libro. Sono avvolto dall’euforia di rivedere i miei vecchi amici, di rivedere Carlo. Intanto mi presentano i presidenti dei due Club che si sono uniti per questa serata. Ci dirigiamo verso tavola. Io prendo possesso della posizione dell’ospite d’onore. Alla mia sinistra i due presidenti in carica. Alla mia destra Stepan. Di fronte a me, Luigi, il promotore di questa serata.

La conversazione con i due presidenti è frizzante e piacevole.

All’improvviso capto la voce di Stepan che si rivolge al cameriere con estrema discrezione: “cosa c’è di secondo? “

“Coniglio”, risponde con altrettanta discrezione il cameriere.

Nell’istante successivo il mio stomaco mi lancia un segnale minaccioso, Stepan salta in piedi e chiede al cameriere di accompagnarlo in cucina. Torna con il suo sorriso compiaciuto. Si siede. Si avvicina al mio orecchio e mi sussurra: “stia tranquillo Ricky, di secondo per lei c’è dello speck”.

I pensieri di Stepan seguono sempre dei percorsi che solo lui conosce.

IL SOMMELIER UCRAINO (parte 2-fine)

Ottobre. Torniamo a Rispescia per il secondo appuntamento di “Creare valore con i valori”. Stepan si muove come se fosse sempre stato nel “Centro permanente di educazione ambientale”. È così limpido che è impossibile non volergli bene. Vedere Francesco salutarlo con entusiasmo è un piacere.

Venerdì. A pranzo, nel Ristorante Girasole, stiamo terminando. Ci prepariamo a partecipare al confronto sui valori delle aziende sostenibili. I tavoli quadrati da otto posti cominciano ad avere le prime sedie vuote.

“Dai, Stepan, mi bevo un goccio di vino “

“Però le servo quello speciale Ricky…”

“Tanto per me è uguale Stepan…”

Stepan vede una nuova opportunità per iniziarmi. Si allunga sul tavolo verso la bottiglia di vino rosso, “di qualità”. La prende. Si siede. Mesce il vino nel calice. Lo appoggia davanti a me. E con immenso rispetto per il liquido rosso, immerge delicatamente la cannuccia. Gesti meccanici. Che esegue diligentemente da cinque anni. Ma questa volta un leggero velo di imbarazzo gli attraversa il viso. Cannuccia e vino: accostamento orribile.

La mano di Stepan si allontana lentamente dalla cannuccia. Improvvisamente torna verso il piccolo tubicino grigio. Stepan mi lancia un’occhiata quasi di traverso. Il sopracciglio sinistro alzato. Un ghigno appena accennato. Toglie la cannuccia. Afferra la base del calice e lo muove con un movimento del polso. Con maestria. Il vino ruota scaldando le pareti del calice.

Stepan continua a guardarmi con l’espressione “Ricky, le sto per servire un capolavoro”. Un gesto deciso del polso. Il calice si ferma. Il vino rallenta la rotazione. E un attimo prima che si fermi me lo fa annusare. Poi assaggiare.

Bevo. E mentre lo mando giù, Stepan mi interroga con lo sguardo.

Guardo Stepan con l’espressione “per me è uguale a tutti gli altri…”. Stepan alza gli occhi al cielo. Si fa cadere verso lo schienale della sedia. Svogliatamente prende la cannuccia dalla tovaglia. La butta grossolanamente nel calice e lo spinge verso di me con un gesto di sufficienza. Con l’espressione “meriti di bere con la cannuccia”. Poi si apre nel suo tipico sorriso.

Ottobre 2016

RICKY&STEPAN

IL SOMMELIER UCRAINO (parte 1)

 

È appena arrivato. L’inizio è promettente. Come quello di tutti i badanti, i 49 che lo hanno preceduto. È allegro. Ha la lingua sciolta. Potrebbe anche risultare simpatico.

Chiacchiera. Racconta le sue passioni. Sopra tutte, il vino. Ma “di qualità”, come sottolinea tutte le volte che racconta dei suoi rossi preferiti. “Fruttato”, “retrogusto”, “mosso”, “persistente”. Narra, spiega, dimostra e mi stordisce con il gergo dei sommelier. Non riesco a fargli capire che, se non in casi veramente eccezionali, non posso bere alcun alcolico. E che se potessi non riconoscerei i gusti, figurarsi i retrogusti.

Stepan non perde mai la speranza. Conclude sempre con un convinto: “Le farò assaggiare io i vini buoni, di qualità”, come ama sottolineare sempre. E ogni tanto ci prova. “Sa, Ricky, ieri sera ho assaggiato un vino top. Lo so perché conosco bene i vini, quelli rossi, mi ha insegnato un amico nei sei mesi che sono stato a Nizza”. Questa di un ucraino esperto di vini non mi convince. Anzi.

Dopo cinque anni e vari fallimenti a iniziarmi all’arte di Bacco, entriamo nel piazzale del “Centro permanente di educazione ambientale” di Legambiente a Rispescia: la vera casa dell’associazione. Angelo Gentili e Rita Tiberi hanno preparato un evento che non ci dimenticheremo facilmente. “Creare valore con i valori”, il workshop che segna il nuovo corso del rapporto tra Legambiente e le imprese, incomincerà con una cena di conviviale.

Cinque lunghe tavolate. Intorno, i tavoli con gli antipasti. Ognuno con un prodotto tipico maremmano e il suo produttore d’eccellenza. Siamo nel regno di Francesco Gentili, il guru dell’enogastronomia della Maremma. Gli presento Stepan raccontandogli della sua passione per il cibo e i vini, di qualità.

“Ricky, le devo raccontare una cosa troppo importante…”. Stiamo rientrando in camera. Terminata la cena Stepan si era allontanato. Tavolo dopo tavolo, si era intrattenuto con i produttori.

“Francesco, era al tavolo di un produttore di vini – racconta Stepan senza trattenere l’emozione – mi ha fatto assaggiare dei vini rossi fantastici e me li ha spiegati dicendomi che il secondo era il migliore. Io non ero d’accordo e gli ho spiegato perché…” e ha profuso una sequela di retrogusti, persistenze, fruttati e altri termini mai sentiti prima.

“Allora Francesco li ha assaggiati nuovamente e mi ha detto che avevo ragione…” e continua a guardarmi con le emozioni che stanno raggiungendo le stelle sopra di noi. “Si rende conto? Ha detto che ho ragione! Si rende conto cosa significa per me?”. La storia di un ucraino esperto di vini continua a non convincermi, ma c’è un’eccezione.

 

Giugno 2016

RICKY&STEPAN

 

DI NUOVO UNA PORSCHE PANAMERA

Prima leggi: la sostenibilità vista da Stepan

“Stepan… Lampeggia…”.

Il TIR procede stancamente nella corsia centrale dell’autostrada adriatica rispettando rigorosamente il limite di velocità. 80 all’ora. Il caldo afoso del primo sabato di luglio sembra appesantirlo. La Fiat Uno blu scassata lo sta superando, forse. Arranca faticosamente. Ha raggiunto la metà del rimorchio e procede istericamente verso la motrice. Sta dando il massimo. Tutta se stessa. Sta combattendo sola contro tutti: l’autoarticolato, il caldo, la pressione. Dietro, una Porsche Panamera sta ringhiando. Soffre l’andatura ridotta, la sua libertà castrata. I cavalli dell’otto cilindri imbrigliati si trattengono a stento, non vedono l’ora di spianare la piccola utilitaria arrugginita.

Ci accodiamo e assistiamo allo sforzo del piccolo ammasso di rottami.

Intanto osservo  il retro della Porsche Panamera. Le linee arrotondate nella tradizione della casa. I pneumatici larghi che mordono l’asfalto. I tubi di scappamento che annunciano tutta la sua potenza.

“Stepan…”

“Si Ricky…”

“Lampeggia…”.

Le sopracciglia di Stepan si alzano leggermente.

“Ma… Ricky…”. Stepan è confuso. Guarda la Panamera bloccata dalla Fiat Uno, l’autoarticolato sulla nostra destra.

“Lampeggia, Stepan…”. Le sopracciglia di Stepan si alzano fino a invadere la fronte. Si fa serio e assume l’espressione tipica di quando si prepara a darmi una spiegazione complessa. Sta per abboccare.

“Vede Ricky. Se lampeggio non ha senso. La Porsche non ci può lasciare passare perché non ha spazio. E non può neanche accelerare finché la Fiat Uno non avrà superato il camion. In quel momento la Porsche potrà accelerare e ci lascerà indietro. Quindi, logicamente, non ha senso lampeggiare”.

“Appunto Stepan. Quando ti ricapiterà l’occasione di lampeggiare a una Porsche Panamera?”. Sorrido malizioso.

Ripartiamo dall’autogrill, la pancia riempita da un boscaiolo, un Krapfen e una coca-cola. In pochi metri Stepan raggiunge la velocità di crociera. La corsia di sorpasso è vuota. A dire il vero, l’autostrada davanti a noi è tutta libera. Le macchine sono parcheggiate negli autogrill presi d’assalto dai turisti del fine settimana.

Stepan scarta verso destra. Improvvisamente. La botta di adrenalina mi richiama dal torpore che mi stava assalendo. In un istante siamo nella corsia di destra e l’istante successivo siamo dietro alla Porsche Panamera che procede lentamente. Una manovra assurda, inutile e dannatamente pericolosa.

“Cazzo fai Stepan?!”. Sto per servirgli un sonoro cazziatone. Prendo fiato e mi giro verso il mio badante che ogni tanto mi mette nelle condizioni di strigliarlo. I nostri occhi si incrociano. Esito. La sua espressione da discolo mi sorprende.

“Ricky… Lampeggio?”.

Luglio 2015

LA SOSTENIBILITÀ VISTA DA STEPAN (in viaggio verso Legambiente)

RICKY&STEPANLa Porsche Panamera ci supera in scioltezza seguendo il nastro d’asfalto della A1 che si srotola davanti a noi. Direzione, Roma. La Citroen C4 Gran Picasso oscilla leggermente. Sembra riverire il passaggio di tanta perfezione. Stepan la rincorre con lo sguardo. Mentre a occidente il sole ha cominciato a decorare il cielo con i colori del tramonto.

Rallentata da due camion che si stanno sorpassando, la Porsche ci precede per un paio di kilometri. Poi, appena la corsia si libera, libera tutti i cavalli e ci abbandona. Gli occhi di Stepan la seguono. Sospira.

“Certo con una macchina così farei una più bella figura”.

Stepan rompe il silenzio che ha avvolto l’abitacolo negli ultimi kilometri. Sorrido distrattamente, alzando l’angolo della bocca. Stepan, temendo una gaffe involontaria, corregge subito il tiro.

“Non che questa sia male, anzi – poi non resiste – ma con quella sarei più figo“.

Poi, mette un’altra pezza.

“Certo non sto chiedendo una Bentley…”

Comincio a ridere. E sto al gioco.

“Facciamo così Stepan, se cambio macchina la scegli tu”.

Stepan pensa un attimo, il minimo indispensabile. Poi, accompagnandosi con la mano destra che disegna una serie di cerchi ad indicare “tantissimo” ribatte.

“… eeeee ne deve fare di bilanci di sostenibilità…”.

Ci guardiamo con la coda dell’occhio, prima. Poi ci giriamo uno verso l’altro. Tratteniamo goffamente la risata. Che esplode un attimo dopo.

(Maggio 2015)

“CI ROVINIAMO LE BUDELLA?”

Prima leggi: IL GRANDE IVAN (EP.1): il colloquio

“Vecio, andiamo a rovinarci le budella?”.

Capita più spesso di sabato. Quando rientriamo dopo la prova Paola Valenti. O tornando a casa da qualche commissione impedita dalla frenesia della settimana. Così Ivan punta il muso della Mercedes Classe A blu verso il McDonald’s più vicino. Per rovinarci le budella con hamburger, patatine e un litro di coca-cola annacquata da decine di cubetti di ghiaccio.

“Vecio, andiamo a rovinarci le budella?” non ha mai significato “ho fame”. È la misura del legame che si può creare con un badante. Sedersi intorno a un tavolo con un amico e chiacchierare senza meta. Un vincolo che va oltre la disabilità e il bisogno di assistenza.

Quattordici anni fa Ivan ha smesso di essere il mio badante. Ogni tanto un telefono squilla. Dall’altro capo della connessione una voce squilla: “Vecio, andiamo a rovinarci le budella?”. Allora rubo un’ora e mezza alla giornata e scappo con Ivan da un McDonald’s a chiacchierare. E a stendere le budella.

DIALOGHI CON I BADANTI: RICORDARSI DI…

(In sede di colloquio ogni badante viene informato che una parte prevalente delle sue mansioni sono del domestico. Quando viene scelto le mansioni gli vengono spiegate con una precisione maniacale, una seconda volta). 

“… e, cosa importante, quando si accorge che la confezione di un prodotto come il dentifricio, il bagnoschiuma, la cartina igienica – che enfatizzo con un tono di voce più grave – un detersivo, i biscotti, il succo di frutta, sta finendo avvisi mia moglie che li comprerà quando farà la prossima spesa”.

“Ho capito”. Il badante, neo assunto, risponde prontamente. Almeno sembra.

“Bene. Cominciamo domani mattina”.

(10 giorni dopo)

“Signor Riccardo, ricordi a sua moglie di comprare il dentifricio”.

“Ignazio, le ho già spiegato che non deve dirlo a me, ma direttamente a Nelly. È di là, in cucina,… “.

(Passano alcuni giorni)

“Ignazio, si sta dimenticando di mettermi il dentifricio…”.

“È finito, signor Riccardo”.

“Di già? Ma quanto ne ha comprato Nelly? ”

“Non l’ha comprato, signor Riccardo”. Ignazio è serafico. Fin troppo.

“Ma lei ha detto a Nelly che era finito? ”

“Certo”. Ignazio risponde tranquillo. Fin troppo.

“Quando? ”

Ignazio mi ricorda correttamente l’episodio della cucina.

“Ma da quella volta sarà andata al supermercato almeno altre tre volte…”.

“Lo so”. Un tono sottilmente impertinente fa capolino..

“Non poteva ricordarglielo ancora? ”

“Guardi signor Riccardo… Io ho l’abitudine di ricordare le cose agli altri una sola volta…” Ignazio risponde con un mezzo sospiro.

(Fine mese, tempo di stipendio)

“Signor Riccardo, si ricordi il mio stipendio”

“Certo Ignazio”.

Due giorni dopo non ho ancora consegnato l’assegno a Ignazio.

“Signor Riccardo, si ricorda del mio stipendio?”

“Ignazio, è la seconda volta che me lo ricorda”.

“Si”.

“Ma lei non è abituato a ricordare le cose agli altri una volta sola? ”

“Certo”, risponde Ignazio con convinzione granitica.

“Mi spieghi allora perché mi sta ricordando lo stipendio per la seconda volta… “.

Ignazio mi fissa senza rispondere. Gli occhi vuoti. La bocca socchiusa. L’espressione inebetita.

 

(2006-2012)

DIALOGHI CON I BADANTI: LA FINESTRA

Il rientro a casa dopo una dura giornata di lavoro è una benedizione. Sono stanco. Non vedo l’ora di arrivare, cambiarmi con l’aiuto del badante, e buttarmi sul divano. Non ho parlato per tutto il tragitto. Preservo ogni stilla di energia residua per chiacchierare con Nelly quando rientra.

Arriviamo a casa. Parcheggiamo nel posto macchine nel nostro giardino. Entriamo in casa. Appoggiato al badante, punto verso la camera. Con decisione.

Qualcosa attrae la mia attenzione. Qualcosa fuori posto. Mi fermo. Mi guardo in giro. Ed eccola. La finestra! La finestra è aperta! Viviamo a piano terra e questo esce di casa lasciando la finestra aperta! Do fondo a tutte le riserve di energia. Faccio appello a tutta la mia pazienza.

“Ha lasciato la finestra aperta”. Esordisco fingendo di essere distratto.

“Si”. Il badante risponde convinto. Come fosse ovvio lasciare la finestra aperta quando si esce di casa”.

“Ma – azzardo – ha fatto apposta?”

“No”. Il badante risponde convinto. Come fosse ovvio chiudere la finestra quando si esce di casa.

“Scusi”. Continuo.

“Si”.

“Lei a che piano abita?”

“Terzo”

“Quando esce di casa come lascia le finestre?”

“Chiuse”.

“Sempre?”

“Si”. Il badante risponde sempre senza esitazione. Deciso. Convinto.

“Perché?”

Il badante mi guarda con l’espressione di chi sta pensando: “che cazzo di domanda mi stai facendo? È così ovvio! E te lo devi anche far spiegare…”.

“Perché è pericoloso lasciarle aperte. Perché potrebbe entrare qualcuno…”.

“E perché a casa mia che è anche a pian terreno non lo fa?!”

Il badante mi guarda confuso. C’è qualcosa nel ragionamento che non gli torna. E non riesce a capire cosa sta sia. Non riesce neanche a farmi una domanda. Continuo io.

“Le finestre si chiudono sempre”. Scandisco bene le parole. “Chiaro?” Concludo alzando la voce.

“Si”. Il badante risponde deciso. E continua. “Mi scusi, non lo sapevo”.

“Sei un idiota”, penso mentre lo guardo cercando di rimanere impassibile.

La stessa sera lancio l’annuncio per selezionare un nuovo badante. La settimana successiva arriva il nuovo badante. L’altro è durato tre settimane.

(2006-2012)

LA BARZELLETTA DI STEPAN SU RICKY

Ieri sera ho raccontato a Stepan la barzelletta del Lord che tiene un diario quotidianamente. Nei momenti cruciali della sua vita il Lord racconta sempre che la mattina si è svegliato con il pisello duro, che ha provato a piegarlo. E con orgoglio scrive di non esserci riuscito.

A ottanta anni, il giorno che viene nominato consigliere del Re scrive: “tra l’altro, stamattina mi sono svegliato con il pene duro. Ho provato a piegarlo. E ci sono riuscito. Passano gli anni e divento sempre più forte”.

“Ma questo è humour inglese”, esclama Stepan ridendo.

“Posso raccontare io un barzelletta su Ricky?”, mi chiede soffocando l’ultima risata.

“Vai!”

Stepan comincia a raccontare.

Dobbiamo uscire e Ricky si deve cambiare. Mi chiede: “hai lavato i jeans chiari?”.

“Si”

“Hai stirato i jeans chiari?”

“Sì”.

“Allora, portami i jeans scuri”.

E scoppia nella sua risata entusiasta.

“Bella eh?”, indaga Stepan. Allegro.

“Discreta…”, rispondo cominciando a ridere.

“La scriviamo nel blog allora?”

“Ricky, bisogna spiegare nel blog che ogni tanto mi deve ricordare le cose dieci volte”.

(Ottobre, 2014)

 

DAL PRIMO AL SECONDO IL BADANTE… IL CONTATTO CON I FILIPPINI

PRIMA LEGGI: IL PRIMO BADANTE …ovvero una body guard

Sono furioso. Sono seduto alla mia postazione nell’ufficio di Strike Communications, nel superattico dell’appartamento di Milano 2. Riesco a trattenere uno scatto di ira. Maurizio non è stato sfiorato minimamente dal pensiero di avvisare che non lavorava più. Per non parlare del preavviso. E quando mamma lo ha chiamato per sapere perché era in ritardo, non ha avuto il coraggio di parlare direttamente con me. Vigliacco.
Romana arriva in ufficio che mamma e io abbiamo appena incominciato a commentare la telefonata e la vigliaccata. Stiamo ascoltando il resoconto dettagliatissimo, parola per parola, della mamma quando squilla il telefono. Strappo la cornetta dal ricevitore.
“Pronto?”. Lo dico ricorrendo a tutto il mio autocontrollo.
“Pronto, sono Maurizio, vorrei parlare con Ricky”.
Non ci posso credere. Maurizio! Non me ne rendo conto. Sentire la parola “Maurizio” è come premere il tasto di un detonatore. Il detonatore della mia rabbia. Che esplode in un’eruzione di insulti. Urlo.
“Maurizio! Brutto bastardo figlio di puttana, cosa cazzo vuoi? Cosa cazzo mi chiami a fare? Ti sembra il modo di comportarti, brutto stronzo? Forse non ha mai abbastanza cervello in quella testa di merda e non ti sei reso conto che sono un disabile…”. Dall’altra parte del cavo c’è il silenzio più assoluto. Maurizio sta subendo passivamente. Non che abbia la possibilità di replicare, la mia colata di incazzatura è inarrestabile. “… cosa cazzo ti costava avvisare, vigliacco, pezzo di merda!”.
Prendo fiato. Mamma e Romana mi guardano con gli occhi sbarrati. Attonite. Non mi hanno mai visto cosi. Neanch’io. Maurizio prende coraggio. Dalla cornetta esce una voce flebile, guardinga.
“Ricky… sono Mauri… cosa sta succedendo?”.
Mauri! Che figura di merda. Mauri è un pilota. Corre in macchina. Ed è un nostro cliente. Passo i cinque minuti successivi a stracciarmi le vesti scusandomi. E raccontando il retroscena. Mauri comprende.
Intanto Romana ha proposto alla mamma una soluzione al problema del badante. La filippina che lavora in casa loro da anni è stata raggiunta dal marito. Florenzo è in Italia da una settimana. Parla inglese, ha la patente. Perfetto!

 

(Aprile 1998, circa)