Sei mesi. Sei mesi passati in un lampo. Sei mesi pieni. Ricchissimi. Tanto pieni e intensi da sembrare dieci anni. Una donna fuori dal comune. Una bellezza raffinata che mi incanta. Un’intelligenza acuta e profonda con la quale adoro misurarmi. Uno spirito pungente, un po’ cinico e irriverente che la rende unica e insostituibile. La amo. L’innamoramento si è evoluto in amore, nel senso più puro. Anteporre il suo bene al mio, rispettare la sua unicità, riconoscere nella sua libertà la forza del mio sentimento. Sentirmi più forte perché Nelly è “con me”, non perché “è mia”.
Ci siamo conosciuti sull’onda dei miei progressi dopo il trapianto di midollo. E in questi sei mesi la CIDP è stata costantemente imbrigliata. Con Nelly ne abbiamo parlato spesso. Le ho raccontato del passato, dell’esordio, dei peggioramenti e dei miglioramenti. Abbiamo parlato del futuro. Delle prospettive buone e di quelle meno buone. Delle incertezze. Nelly è positiva. Come sempre. In questi giorni, dopo sei mesi, il posto che la CIDP occupa nella nostra storia mi rende inquieto. Non perché temo che Nelly possa lasciarmi. Temo che Nelly la possa sottovalutare. Che travolta dalla bellezza di questi sei mesi non colga in pieno le implicazioni di un peggioramento nel lungo periodo. E di quanto possano condizionare la sua vita. Le volte che abbiamo parlato della malattia ne ho sempre approfittato per metterla in guardia. Ma era pur sempre la mia verità. Che comunque non mi soddisfa. Abbiamo quaranta anni. E sento la responsabilità di ciò che Nelly e io potremmo costruire. E se Nelly vuole costruire qualcosa con me, con una persona nelle mie condizioni, deve decidere conoscendo esattamente le prospettive. Nel bene e, soprattutto, nel male.
“Mon amour, venerdì pomeriggio sei libera?”
“Sì, perché?”
“Ho la visita di controllo. Mi farebbe piacere che ci fossi anche tu”.
“Ok!”.
Arriviamo al DIMER puntuali. Giuseppemi sta già aspettando nell’ambulatorio. Nelly e io entriamo.
“Ciao Giuseppe”.
Giuseppe distoglie lo sguardo dal monitor e mi sorride. Vede Nelly e aggrotta la fronte confuso. Mi guarda come per dire: “e questa? Chi è?”. Giuseppe è sorpreso. D’altra parte in più di cinque anni non mi ha mai visto accompagnato da qualcuno al di là dei badanti. Sa benissimo come la penso. Che la CIDP la gestisco io.
“Giuseppe, ti presento Nelly Baiamonte. Per me è una persona molto importante. Vorrei che assistesse alla visita. Poi, vorrei che tu le spiegassi cosa mi può succedere in prospettiva. Non risparmiarle nulla, soprattutto nel caso di un’evoluzione negativa”.
Nella vita mi sono ispirato alla più completa onestà intellettuale. Con Nelly e la CIDP non ho intenzione di tralasciare nulla, neanche i particolari più insignificanti. Sono disposto a mettere tutto in gioco. La amo al punto che sono disposto a perderla se non se la sente di affrontare il futuro con una persona potenzialmente senza autonomia. Non voglio prenderla in giro. E voglio che decida del suo futuro serenamente e con la massima consapevolezza. Giuseppe accetta ed esegue diligentemente e meticolosamente.
La sera mi fermo a cena da Nelly. La “classica” cena con Nelly in cui parliamo di tutto. Ne approfitto. Porto la conversazione sulla visita del pomeriggio. Parliamo del DIMER, di Giuseppe.
“Hai capito bene gli scenari che ha descritto Giuseppe?”.
“Si – risponde Nelly con decisione e tranquillità – devo dire che è stato fin troppo chiaro e trasparente. Ha risposto a tutte le mie domande. Non mi viene in mente null’altro. Mi è tutto chiaro”.
” Bene. Sono contento. In tutto questo è importante una cosa mon amour … “. Sto per giocarmi tutto. E lo sto facendo serenamente. “… è importante che tu sappia che se continuiamo la nostra storia le probabilità della seggiola a rotelle, dell’aiutarmi a mangiare, della perdita dell’autonomia sono altissime. Non so quando arriveranno, ma arriveranno. E ricadranno su di te. Devi esserne consapevole”.
“Lo sono. Ti dirò di più. Quando quelle cose succederanno le affronteremo insieme”.
Nelly mi ha colpito. Non tanto per quello che ha detto. Mi ha colpito per la sua assoluta tranquillità nel dirlo. Come se dovesse affrontare l’azione quotidiana più banale: la pasta al dente o un po’ più cotta? Prendo la macchina o vado con i mezzi? Passo la mia vita con un disabile o passo la mia vita con un disabile?
La adoro. Sto per dirglielo quando un lampo mi attraversa.
“Sei convinta?”. Glielo domando fissando i suoi occhi incantevoli dall’altra parte del tavolo da pranzo.
“Si”, risponde con inalterata tranquillità e consapevolezza.
“Allora, cosa ne dici… mi vuoi sposare?”
“Siiiiiii! … Cioè … Me lo chiedi così? … Cioè … Senza metterti in ginocchio?!”
Mettermi in ginocchio? Come cazzo faccio!? Vaffanculo Ricky, è Nelly. E se mi chiede di scalare una montagna trovo il modo di farlo. Il pensiero dura il tempo di un battito di ciglia. Mi alzo. Appoggiandomi al tavolo mi avvicino. Metto il ginocchio sinistro a terra. Prendo le sue mani nelle mie. E la guardo negli occhi.
“Nelly, mi vuoi sposare?”
“Siiiiiiiiii!!!!!”
La cena finisce in quell’istante. Siamo eccitatissimi. Ci precipitiamo sul divano a immaginare il giorno, il posto. Poi Nelly chiama suo fratello. Poi Moira, Patrizia e Alessandra. Le amiche di una vita. C’è qualcosa di più bello che sentirsi dire di sì dalla donna che si ama? Sì, c’è. Vederla colma di felicita.
Improvvisamente si fa seria. Corruga la fronte. Mi guarda dritto negli occhi e con un irriverente tono inquisitorio mi domanda…
“Ti dispiacerebbe chiedermelo ancora domani mattina?”
“Perché?”. Sono spiazzato.
“Perché su questo argomento vorrei avere solo certezze. Oggi è il 1 aprile!”
Straordinaria!
(1 aprile 2003)