Archivi categoria: Nelly

SORPRESA DA FIRENZE (parte 2 – fine)

Prima leggi: SORPRESA DA FIRENZE (parte 1)

Fare breccia in un bunker protetto da un arsenale di intelligenza, intuito e dialettica sopraffina è una missione impegnativa. Molto impegnativa. Come fare cambiare idea a Nelly. Cercare di dissuaderla, invece, è una missione impossibile. Il fallimento è certo. Perché prima ancora che si cominci solo a pensare di affrontare il bunker bisogna superare una barriera fatta di convinzione granitica. Un bastione insormontabile contro il quale si schiantano tutti i tentativi. Anche quelli più raffinati.

Curiosi e assonnati. I due occhi piccoli mi fissano. E mi ricordano che quando Nelly si mette in testa qualcosa, prima o poi la fa’.

Ne avevamo parlato ogni tanto. Poche discussioni ma profonde. Avevo cercato di dissuaderla. Di farle capire che se lo avessimo fatto tutto il peso sarebbe caduto sulle sue spalle. “Mon amour, non ne hai mai avuto uno. Non sei abituata a gestirlo. E io, nelle condizioni in cui mi trovo, non posso aiutarti”.

Mi illudevo di averla convinta. Fino alla volta successiva. Ricominciavamo a parlarne come se fosse la prima volta. Non mi restava che sperare che se ne dimenticasse. O che continuasse a rimandare, fino all’infinito.

Invece. La sera prima mi aveva telefonato da Firenze. Pitti Uomo chiudeva e la titolare della griffe le aveva chiesto di restare a cena per convincere un’importante boutique giapponese a completare l’ordine di maglioni di cachemire con i modelli più innovativi. Ci saremmo visti il giorno dopo in ufficio.

Ora era lì, in piedi davanti a me con gli occhi luminosi che tracimavano gioia. La gioia di Nelly quando sta facendo felice qualcuno. Seduto sulla poltrona presidenziale in simil pelle nera mi ero trascinato oltre la scrivania. Eravamo uno di fronte all’altra. La piccola cucciola che Nelly teneva goffamente e io. Le ho avvicinato la testa e arricciato il naso. La lingua era guizzata verso la punta. Era rientrata prontamente. Mi stava studiando. Per poi lanciarsi verso il mio viso per una leccata vigorosa. Era appena scoppiato un amore.

Una piccola Jack Russell “sbagliata”, tutta color biscotto, era entrata nella nostra famiglia. Cookie, due occhietti vispi, un mozzicone di coda sempre in movimento, stava per prendere possesso di casa nostra.

 

Aprile, 2003 (circa)

sorpresa

Malattie misteriose Italia e la CIDP (02/06/2016)

Sono stato il testimonial della CIDP nella prima puntata di “Malattie Misteriose Italia”. Una piccola operazione di trasparenza: oggi e mentre giravamo ero su una seggiola a rotelle; il trapianto di midollo non è stato risolutivo.

Clicca sulla fotografia per vedere il documentario. La mia parte comincia a partire dal minuto 19.

Malattie misteriose

 

 

SORPRESA DA FIRENZE (parte 1)

La porta dell’ufficio si apre lentamente. Elena smette di parlare e corruga la fronte mentre si volta verso l’entrata.

Mezz’ora prima era comparsa sulla porta della mia stanza. Si era appoggiata allo stipite sinistro e mi aveva chiesto un’opinione su una campagna pubblicitaria. Una questione più tecnica che altro, risolta in pochi attimi. Era rimasta lì. Dalla campagna pubblicitaria eravamo passati a chiacchierare di tutto e niente. Quelle conversazioni inconcludenti perfette per il sabato mattina. Quando in ufficio non c’è nessuno, i telefoni non squillano, e i corrieri non irrompono a consegnare i soliti pacchi urgenti.

L’espressione di Elena vira verso un sorriso. Mentre la porta continua ad aprirsi. Lentamente.

“Ciao”. È sorpresa.

Faccio rotolare la sedia verso destra per inquadrare la porta. Nelly!

“Cosa fai qui!?”. Vederla. Vedere il suo volto illuminato dal suo sorriso, continua ad essere una sensazione indescrivibile. Soprattutto quando non li vedo da un po’. Come negli ultimi quattro giorni in cui è stata a Firenze per Pitti Uomo. Sarebbe tornata ieri se la titolare della griffe non le avesse chiesto di rimanere anche il venerdì sera per una cena con un’importante cliente. Ci saremmo visti oggi pomeriggio a casa. Sono confuso.

“Indovina chi ti ho portato da Firenze?”. Nelly è piegata in avanti. Il busto in ufficio, il resto sul pianerottolo come per trattenere qualcuno che vorrebbe irrompere.

“Moira!?” Moira. A Milano? Nelly ci è riuscita. L’ha strappata dai colli del Chianti per farle passare due giorni da noi a Milano. Favolosa!

“No, no…” Gli occhi di Nelly tracimano di gioia, di chi si sta divertendo a prendere in giro.

“No?! Come no?!”

Elena fa da spettatore.

“No, no!”. Nelly è sempre più divertita. Sa che se non ci arrivo subito ho poca pazienza. E ci sono. Quasi.

“Dai, dimmi… ” Sto iniziando la fase uno: la supplica.

Nelly non se la gode minimamente. Entra in ufficio trattenendo un’esclamazione: “ma è lei!”

Due occhi assonnati. Piccoli. Curiosi. Mi fissano.

(Gennaio 2003)

sorpresa

ANNIVERSARIO DI NOZZE

PRIMA LEGGI: La proposta più importante

Un marito non può definirsi tale se non dimentica due date: il compleanno della moglie e l’anniversario di nozze. Prima di sposarmi cerco qualche motivo per cui io possa essere immune a questa sindrome. Non ne trovo. Ricordarmi del compleanno di Nelly sarà abbastanza facile. L’11 settembre è una giornata impressa nella memoria di ogni atomo del pianeta. Alla peggio saranno i giornali del giorno prima a far scattare le mie sinapsi.

L’anniversario di nozze sarà un problema da gestire con abilità mentre gli anni passeranno. A meno che …. A meno che ci sposiamo il giorno del mio compleanno. Lo propongo a Nelly spiegandole il motivo in piena trasparenza. Accetta. Convinta, ma non troppo. Fantastico. Problema risolto. Mi sono meritato un’altra volta il soprannome di Mr. Wolf.

13 novembre. Entro in ufficio appoggiato al badante. Procedo a passo di marcia verso la
mia postazione urlando grazie a Boris, William, Ally e Pierluigi che mi lanciano gli auguri. Ci aspetta una giornata infernale. Consegne. Ricerche da far accelerare. La riunione del pomeriggio con Ninfa da finire di preparare.

“Ping”. Il cellulare mi avvisa dell’arrivo di un SMS. Allungo lo sguardo verso lo schermo. È di Ninfa. La prima riga del messaggio recita: “appuntamento confermato. Ricordati di …” Non ho tempo di aprire l’SMS e leggere il resto. Qualsiasi cosa sia me la dirà oggi pomeriggio.

La tensione cresce. Ricevo più telefonate del previsto e comincio a essere in ritardo. Un clic impercettibile, lontano, mi rimbomba in testa come un frastuono. La maniglia della porta dell’ufficio è scattata.
“Chi cazzo è…” penso, pregando che non sia per me.
“Ciao!”. Inconfondibile. Familiare. Allegro e solare. È il ciao di Nelly. Lo adoro, ma questo non è il momento.

Un attimo dopo è nella mia stanza. Il sorriso luminoso, sempre. Gli occhi, anche loro. Quasi. Stamattina hanno un’ombra che non conosco. La mente comincia a combattere tra il lavoro e Nelly. Per scoprire perché ha quel velo impercettibile sugli occhi. Prevale il lavoro.
“Dimmi Mon Amour. Scusa ma sono incasinatissimo…”. Scandisco bene le parole.
Sopra il sorriso luminoso, dietro il velo, gli occhi si stringono impercettibilmente.
“Non ti stai dimenticando qualcosa?” È incavolata. E lo sta nascondendo.
“Cosa?” Rispondo quasi per prendere tempo.
“Non ti stai dimenticando qualcosa?”
“Cosa mi sto dimenticando, Nelly?” Un senso di incazzatura comincia a fare capolino.
“Ah, se non lo sai tu?”
Ora basta. Non mi sto dimenticando niente. Non ho tempo da perdere. E adesso metto fine a questa storia.
“Senti Nelly… Non so se mi sto dimenticando qualcosa. Se pensi di sì, dimmi cos’è. Così facciamo prima. Ho una giornata incasinata. E non ho tempo da perdere”. Le pianto gli occhi addosso.
“Non so… Vedi un po’ tu… Magari il nostro anniversario?”
Avrei preferito uno schiaffo. Un pugno. Rimango interdetto. Mortificato. L’ho combinata grossa. Talmente grossa che anche le parole si rifiutano di venire in mio soccorso.

“Ninfa, ho fatto incazzare Nelly”
“Cioè…”
“Mi sono dimenticato il nostro anniversario”. E le racconto la mia umiliante prestazione.
“Ma, Ricky, ti ho mandato un SMS?”
“Si, mi confermarvi l’appuntamento…”
“Non l’hai letto tutto…”
Prendo il cellulare. Mi destreggio tra i menù nonostante le dita praticamente inutilizzabili. Trovo l’SMS. Lo apro.
“Cazzo! Che pirla…”.
“… fare gli auguri a Nelly per l’anniversario. Siamo al mercato insieme e si sta arrabbiando”… continuava l’SMS.
“Ricky! E leggili ‘sti SMS!”

(Novembre 2008)

UNA CADUTA, LA REAZIONE DI NELLY

Il portone di via Bartolomeo Giuliano si chiude pesantemente alle nostre spalle. La macchina ci aspetta dall’altra parte della strada. Parcheggiata a cavallo del marciapiede. Nelly mi precede. Si avvia verso sinistra, dove il marciapiede è più basso. Da dove posso scendere più agilmente. Misuro i passi mentre mi avvicino al varco tra due auto parcheggiate. Arrivo con il piede sinistro. Quello giusto. Rallento. E appoggio il piede destro sull’asfalto. Sono giù. È andata bene un’altra volta.
Siamo andando al cinema a vedere “The Hours”, il racconto della depressione di Virginia Wolffe interpretata, pare, da una magistrale Nicole Kidman. Nelly ci tiene tantissimo. Abitiamo insieme da un mese. Mi sono trasferito da lei una settimana dopo ladecisione di sposarci. Ho negoziato un po’ di spazio nei suoi armadi. E ho lasciato la mia tana di via Mac Mahon.
Dal marciapiede continuo a muovermi verso la macchina. Nelly mi sta seguendo. Attraversiamo via Bartolomeo Giuliano. Sono concentrato sul movimento delle gambe. Come al solito da quando ho ripreso a camminare dopo il trapianto di midollo. Appoggio il tallone del piede destro. Sposto il peso in avanti spingendo con la gamba sinistra. Appoggio la pianta del piede destro. La spinta della gamba sinistra si esaurisce. Arriva il momento più delicato. Il passaggio del peso dalla gamba destra a quella sinistra. Stacco la gamba sinistra. Il ginocchio della gamba destra si deve piegare, ma leggermente. Un movimento appena accennato, perché non ho sufficiente forza nella gamba per sostenere una flessione normale. Comando l’azione. La gamba non obbedisce. Rimane tesa. Come un’asta. E come un’asta mi proietta verso l’alto.
Mi sento spingere in su, leggerissimo. I piedi si staccano dall’asfalto. Volo. Non so spiegare il motivo, ma scendendo verso la strada, ruoto. Sto per cadere sul fianco destro. Devo proteggere le costole. Faccio appena in tempo a coprire il lato destro con il braccio e a preoccuparmi della reazione di Nelly che via Bartolomeo Giuliano mi accoglie con uno schianto. Il colpo mi taglia il fiato. Oltre a procurarmi alcune leggere escoriazioni sul braccio. Mentre l’aria torna a farsi strada nei polmoni, cerco Nelly. Non riesco a percepirla. Tanto meno a percepire la sua reazione. Non può che essere agitata. Devo tranquillizzarla.
“Buono, tranquillo, stai fermo e non ti muovere”. La voce è controllata e rassicurante. Nelly è in ginocchio al mio fianco. Cerco il suo viso. Ha l’espressione della massima concentrazione.
“Ti sei fatto male?”
“Aspetta…”. Ruoto sulla schiena. Muovo la gamba destra. Nessun dolore. La spalla destra è a posto. Il gomito ammaccato. Mi siedo e faccio tre respiri lunghi e profondi. Ogni volta che inspiro provo una leggera fitta al costato destro.
“Devo avere incrinato una costola”, spiego a Nelly.
“Andiamo al pronto soccorso…”.
“Ma no, mon amour, per una costola incrinata non è necessario. E poi non è la prima volta…”.
“Cosa vuoi fare?”
“… Andiamo al cinema… Gabriele e Iolanda ci stanno aspettando”.
La reazione di Nelly è straordinaria. Vederla reagire alla caduta con prontezza, controllo e concentrazione, pronta a reagire mi riempie di orgoglio. Un’altro motivo che la rende sempre più speciale. E la consapevolezza che insieme a lei posso raggiungere qualsiasi vetta.
Quel giorno c’è stata una cosa peggiore della caduta: il film.
(Maggio, 2003)

LA PROPOSTA PIU’ IMPORTANTE

Sei mesi. Sei mesi passati in un lampo. Sei mesi pieni. Ricchissimi. Tanto pieni e intensi da sembrare dieci anni. Una donna fuori dal comune. Una bellezza raffinata che mi incanta. Un’intelligenza acuta e profonda con la quale adoro misurarmi. Uno spirito pungente, un po’ cinico e irriverente che la rende unica e insostituibile. La amo. L’innamoramento si è evoluto in amore, nel senso più puro. Anteporre il suo bene al mio, rispettare la sua unicità, riconoscere nella sua libertà la forza del mio sentimento. Sentirmi più forte perché Nelly è “con me”, non perché “è mia”.

Ci siamo conosciuti sull’onda dei miei progressi dopo il trapianto di midollo. E in questi sei mesi la CIDP è stata costantemente imbrigliata. Con Nelly ne abbiamo parlato spesso. Le ho raccontato del passato, dell’esordio, dei peggioramenti e dei miglioramenti. Abbiamo parlato del futuro. Delle prospettive buone e di quelle meno buone. Delle incertezze. Nelly è positiva. Come sempre. In questi giorni, dopo sei mesi, il posto che la CIDP occupa nella nostra storia mi rende inquieto. Non perché temo che Nelly possa lasciarmi. Temo che Nelly la possa sottovalutare. Che travolta dalla bellezza di questi sei mesi non colga in pieno le implicazioni di un peggioramento nel lungo periodo. E di quanto possano condizionare la sua vita. Le volte che abbiamo parlato della malattia ne ho sempre approfittato per metterla in guardia. Ma era pur sempre la mia verità. Che comunque non mi soddisfa. Abbiamo quaranta anni. E sento la responsabilità di ciò che Nelly e io potremmo costruire. E se Nelly vuole costruire qualcosa con me, con una persona nelle mie condizioni, deve decidere conoscendo esattamente le prospettive. Nel bene e, soprattutto, nel male.
“Mon amour, venerdì pomeriggio sei libera?”

“Sì, perché?”
“Ho la visita di controllo. Mi farebbe piacere che ci fossi anche tu”.
“Ok!”.

Arriviamo al DIMER puntuali. Giuseppemi sta già aspettando nell’ambulatorio. Nelly e io entriamo.

“Ciao Giuseppe”.
Giuseppe distoglie lo sguardo dal monitor e mi sorride. Vede Nelly e aggrotta la fronte confuso. Mi guarda come per dire: “e questa? Chi è?”. Giuseppe è sorpreso. D’altra parte in più di cinque anni non mi ha mai visto accompagnato da qualcuno al di là dei badanti. Sa benissimo come la penso. Che la CIDP la gestisco io.
“Giuseppe, ti presento Nelly Baiamonte. Per me è una persona molto importante. Vorrei che assistesse alla visita. Poi, vorrei che tu le spiegassi cosa mi può succedere in prospettiva. Non risparmiarle nulla, soprattutto nel caso di un’evoluzione negativa”.
Nella vita mi sono ispirato alla più completa onestà intellettuale. Con Nelly e la CIDP non ho intenzione di tralasciare nulla, neanche i particolari più insignificanti. Sono disposto a mettere tutto in gioco. La amo al punto che sono disposto a perderla se non se la sente di affrontare il futuro con una persona potenzialmente senza autonomia. Non voglio prenderla in giro. E voglio che decida del suo futuro serenamente e con la massima consapevolezza. Giuseppe accetta ed esegue diligentemente e meticolosamente.

La sera mi fermo a cena da Nelly. La “classica” cena con Nelly in cui parliamo di tutto. Ne approfitto. Porto la conversazione sulla visita del pomeriggio. Parliamo del DIMER, di Giuseppe.

“Hai capito bene gli scenari che ha descritto Giuseppe?”.
“Si – risponde Nelly con decisione e tranquillità – devo dire che è stato fin troppo chiaro e trasparente. Ha risposto a tutte le mie domande. Non mi viene in mente null’altro. Mi è tutto chiaro”.
” Bene. Sono contento. In tutto questo è importante una cosa mon amour … “. Sto per giocarmi tutto. E lo sto facendo serenamente. “… è importante che tu sappia che se continuiamo la nostra storia le probabilità della seggiola a rotelle, dell’aiutarmi a mangiare, della perdita dell’autonomia sono altissime. Non so quando arriveranno, ma arriveranno. E ricadranno su di te. Devi esserne consapevole”.
“Lo sono. Ti dirò di più. Quando quelle cose succederanno le affronteremo insieme”.

Nelly mi ha colpito. Non tanto per quello che ha detto. Mi ha colpito per la sua assoluta tranquillità nel dirlo. Come se dovesse affrontare l’azione quotidiana più banale: la pasta al dente o un po’ più cotta? Prendo la macchina o vado con i mezzi? Passo la mia vita con un disabile o passo la mia vita con un disabile?

La adoro. Sto per dirglielo quando un lampo mi attraversa.
“Sei convinta?”. Glielo domando fissando i suoi occhi incantevoli dall’altra parte del tavolo da pranzo.
“Si”, risponde con inalterata tranquillità e consapevolezza.
“Allora, cosa ne dici… mi vuoi sposare?”
“Siiiiiii! … Cioè … Me lo chiedi così? … Cioè … Senza metterti in ginocchio?!”
Mettermi in ginocchio? Come cazzo faccio!? Vaffanculo Ricky, è Nelly. E se mi chiede di scalare una montagna trovo il modo di farlo. Il pensiero dura il tempo di un battito di ciglia. Mi alzo. Appoggiandomi al tavolo mi avvicino. Metto il ginocchio sinistro a terra. Prendo le sue mani nelle mie. E la guardo negli occhi.
“Nelly, mi vuoi sposare?”
“Siiiiiiiiii!!!!!”

La cena finisce in quell’istante. Siamo eccitatissimi. Ci precipitiamo sul divano a immaginare il giorno, il posto. Poi Nelly chiama suo fratello. Poi Moira, Patrizia e Alessandra. Le amiche di una vita. C’è qualcosa di più bello che sentirsi dire di sì dalla donna che si ama? Sì, c’è. Vederla colma di felicita.
Improvvisamente si fa seria. Corruga la fronte. Mi guarda dritto negli occhi e con un irriverente tono inquisitorio mi domanda…

“Ti dispiacerebbe chiedermelo ancora domani mattina?”
“Perché?”. Sono spiazzato.
“Perché su questo argomento vorrei avere solo certezze. Oggi è il 1 aprile!”
Straordinaria!

(1 aprile 2003)

LA CILIEGINA SULLA TORTA

PRIMA LEGGI: Nelly… La donna della mia vita.

“Ti mancherò?”. La domanda è retorica e nasconde il bisogno di essere rassicurata. La mattina del giorno dopo Nelly partirà per New York per una vacanza progettata da prima che ci conoscessimo. Siamo insieme da poco più di due mesi e stiamo bene. Anzi, benissimo. Siamo innamorati e, cosa più straordinaria, l’affiatamento cresce ogni giorno. Un fenomeno meraviglioso, straordinariamente appagante. Sembriamo compagni da una vita eppure non sappiamo cosa sia la noia. Ci confrontiamo incessantemente, su qualsiasi cosa. Le colazioni della domenica mattina sono la nostra agorà dove le chiacchiere ci accompagnano quasi sempre fino all’ora di pranzo.
“Ti mancherò?”. Voglia di rassicurazione. Voglia di carezze e coccole. Bisogno di sentirsi importante. Rispondo alla domanda diretta. Stupidamente.

“No. Ho una strategia contro la malinconia. Non penso che mi mancherai”.
“Come non ti mancherò?”. Nelly ribatte fingendosi indignata anche se dalle pieghe della voce filtra una leggera delusione.
Imperterrito, approfondisco la spiegazione della strategia contro la malinconia basata sul condizionamento della mente: “Da domani mattina incomincerò a pensare al momento che ti rivedrò, solo a quello, e quel pensiero mi renderà felice”.
“Ma neanche un poco pochino?”
Insisto. “Sai, negli ultimi cinque anni vissuti da single sono riuscito a raggiungere un equilibrio come non mi è mai capitato. La mia vita è come una torta perfetta. Mancava la ciliegina fino al giorno in cui ci siamo messi insieme”.
“Ah, così io sarei solo un ciliegina!”. Nelly mi salta addosso mirando ai fianchi per farmi il solletico. Finge indignazione e delusione. Ride. Ma negli occhi per un attimo scorgo un lampo di determinazione.

Domenica Nelly è a New York. E io a colazione mi annoio mortalmente. Mi sta mancando. Capisco perché non ho voluto rassicurarla. Mi stavo schermando dietro una corazza. Nelly aveva sconvolto l’equilibrio che avevo faticosamente raggiunto con tanta delicatezza che non volevo rendermene conto. Ammettere che mi sarebbe mancata voleva dire ammettere che la mia vita stava cambiando. E nonostante il cambiamento fosse per il meglio, lo temevo. Nelly stava diventando la torta. O lo era già.

 

(Dicembre, 2002)

 

NELLY, RICKY E IL TERRORE IN CASA

(Da dieci anni viviamo in un loft in fondo a via Ripamonti. È a pian terreno. Soffitto di 5 metri con vetrate di 3 metri e mezzo su i tre lati del giardino).

Il passerotto che cinguetta sull’albero evoca suggestioni e sentimenti carichi di energia positiva. Appollaiato sul ramo, il batuffolo di piume fischietta contaminando chi lo ascolta con la sua allegria. Annuncia la primavera, una giornata limpida o, più semplicemente, la sua felicità. Ma la gioia di vedere un uccellino non è per tutti. Per Nelly il cinguettio è un segnale d’allarme, la vista fonte di preoccupazione. Preoccupazione che entri in casa. E quando il passerotto è in casa a Nelly evoca un solo sentimento, nitido e netto: terrore.
Inutile cercare spiegazioni. Non ce ne sono. Il fatto certo è che quando un pennuto varca la soglia di casa o entra dalla finestra Nelly perde il lume della ragione. Urla in preda al terrore correndo in giro per l’appartamento. Gli occhi sbarrati come se fosse inseguita da una tigre a digiuno da settimane. Anzi, Nelly preferirebbe di gran lunga il felino. Corre fino a che approda da me in cerca di aiuto e protezione. Il terrore in casa è anche quello del povero pennuto che all’improvviso si trova prigioniero in una gabbia che, seppur grande, è abitata da uno strano mammifero bipede con una grossa criniera castana. E che corre in modo inconsulto da un lato all’altro lanciando stridii acuti e assordanti.
Nelly mi guarda implorandomi di fare qualcosa. Che io sia disabile e non mi regga in piedi non conta. Devo risolvere il problema. Senza alternative. Perché il passerotto vola in casa quando il badante non c’è. Il fine settimana o quando è in ferie. Non ho scampo.
La prima volta è successo di domenica pomeriggio. Io sul divano spaparanzato a guardare lo sport in televisione, Nelly a sistemare il giardino. Fuori una giornata straordinariamente limpida. Il passerotto entra dalla porta della cucina e plana in salone arrampicandosi su un tenda a cinque metri d’altezza. È un periodo difficile. La CIDP mi sta attaccando vigorosamente e le gambe sono debolissime. Tendo l’orecchio verso il giardino. Nessun urlo. Nelly non se ne è accorta. L’uccellino immobile. Ci provo.
“Mon amour?”

“Dimmi!”. Nelly risponde con il suo solito squillo carico di energia e allegria. Bene.
“Fammi un favore. Mi apri le finestre per fare girare un po’ d’aria, sto scoppiando”.
“C’è un uccello in casa!”. Non lo sta dicendo. Lo sta affermando come se ce l’avesse di fronte.
“Dove?”. Provo una manovra di elusione. Inutilmente.
“C’è un uccello in casa!!!”. L’urlo selvaggio squarcia la giornata limpida. Il passerotto vola in cerchio sotto il soffitto.
“Come cazzo ha fatto…”, mormoro mentre mi trascino gattonando verso la finestra. Mi appoggio al mobile della televisione per tirarmi in piedi. Mi appoggio alla colonnina tra due finestre. Tiro su la tenda afferrando e tirando la corda con la bocca. L’equilibrio è precario. Riesco a colpire la maniglia della finestra fino a metterla in posizione “aperto”. Incastro l’avambraccio tra la maniglia e il vetro. Tiro. E la finestra si apre. Mi trascino sul divano e aspetto. L’uccellino allunga il collo verso la libertà. Ma non si muove. Teme che il mammifero bipede urlante si palesi nuovamente. Dopo alcuni minuti prende coraggio e si lancia nella apertura. Problema risolto.

La seconda volta Nelly è in casa. La condizione peggiore. Sta lavorando sul soppalco. Ed è più vicina al soffitto. Il passerotto entra da una finestra e plana verso la libreria dove Nelly ha la postazione. Io sono sempre sul divano preda di un abbiocco. Le urla di Nelly mi riportano alla realtà e stordiscono il pennuto che si mette a volare ossessivamente in cerchio. Nelly, a sua volta, plana al piano inferiore. E si avvicina al divano con gli occhi imploranti aiuto. Questa volta mi sorprende. Invece di sdraiarsi a fianco a me, in cerca di protezione, sale sul divano in piedi.

Mi viene da ridere ma riesco a trattenermi. “Mon amour, cosa sali sul divano? C’è un uccello in casa, mica un topo”.
“Cosa devo fare?”. La voce di Nelly trema. La scena piena di risvolti che tendono al ridicolo. E io contribuisco.
“Mettere la testa sotto il tavolino della televisione”. Libero la prima baggianata che mi è passata per la testa, certo di prendermi un bel vaffanculo. Invece Nelly mi sorprende per la seconda volta.
Alza la testa con circospezione. Cerca di localizzare il pennuto. Non lo vede. Scende dal divano guardinga. Si avvicina alla televisione in punta di piedi. Si inginocchia. E mette la testa sotto il tavolino.

Un episodio rimarrà indimenticabile. È capitato nel periodo in cui la produzione mondiale di immunoglobuline è stata scarsa. E i cicli di terapia si erano fatti meno frequenti dando libertà d’azione al mio sistema immunitario. Nelle gambe la forza latitava. Al divano ero quasi inchiodato.

Quando entra l’uccellino Nelly reagisce come sempre, urlando e correndo verso di me in cerca di aiuto. Ma questa volta non ce la faccio. Comincio a parlarle per rassicurarla. Il respiro le si fa meno affannoso. È il momento giusto per farle capire che tocca a lei risolvere il problema. Aprire la finestra mantenendo il più ferreo autocontrollo per non spaventare il pennuto. Ce la fa. Apre la finestra. Mantiene la calma. L’uccellino vola in cerchio sotto il soffitto ed esce. Nelly non lo vede e si convince che è entrato in camera da letto al piano di sopra. E mi sorprende per la terza volta. Domina il terrore ed entra in camera a controllare. Esce trionfante. Vederla salire la scala verso il soppalco con un coraggio da gladiatore, come se fosse costretta ad affrontare un orso ferito, mi riempie di orgoglio. È mia moglie!

(2003-2010)

CRONACA DELL’INFARTO (EP.8) … I retroscena.

La mattina dell’infarto Valeria, la mia collaboratrice, aveva un raffreddore fortissimo. Il naso colava come un rubinetto aperto.

Al pronto soccorso nessuno aveva avvisato Stepan che ero stato colpito da un infarto. Aveva percepito chiaramente che c’era un problema serio. Ma ignorava che fosse il cuore.
Nelly mi stava chiamando dall’Inghilterra per augurarmi una buon giornata. Ne avevo proprio bisogno! Comunque, Stepan che tiene sempre in tasca il mio BlackBerry vedeva le telefonate. E, seguendo una logica ineccepibile, non rispondeva.

“Se rispondo e le spiego che Ricky è grave, Nelly riparte subito per Milano. E se poi tutto si risolve in una bolla di sapone ci vado di mezzo io. Se le dico che non c’è nulla di grave e poi succede una tragedia, ci vado ancora di mezzo io. Meglio aspettare”. Ineccepibile. Così Nelly si era convinta che fossi in riunione.

Dopo avere firmato il consenso all’intervento al cuore in endoscopia e avere visto la barella precipitarsi verso l’unità coronarica, Stepan aveva le informazioni corrette per chiamare Nelly. Che vede comparire il mio numero e…

“Ciao mon amour”.
“No signora, sono Stepan”.
“Ah, me lo passi?”
“Non posso, siamo in ospedale”.
“Ah, state ritirando il farmaco?” domanda a Nelly convinta che sono al San Raffaele.
“No signora”. La tensione rende le risposte di Stepan particolarmente essenziali.
“Allora dove siete?”
“Al San Paolo”.
“Allora passamelo…”.
“Non posso”.
Nelly comincia a innervosirsi. “Stepan, in che reparto siete?”
“Aspetti che chiedo ………… Unità coronarica signora”.
“Passamelo!”
“Non posso, ma sta bene”.
“Ma cosa ha avuto?!”
“Non lo so, ma sta bene”.

A questo punto Nelly è ovviamente preoccupata. Ricky ha avuto un problema al cuore. Ma quello che la spaventa è che non le dicano la verità per farla rientrare in Italia con moderata tranquillità. Chiama in ufficio per vedere se Valeria ne sa qualcosa di più.

“Bbuoondo”, risponde Valeria tirando su con il naso due volte.
Per Nelly è tutto chiaro: sta piangendo. È successo il peggio.
Valeria racconta a Nelly come sono uscito dall’ufficio. Nelly si rassicura appena appena. E incomincia a telefonare a tutti gli amici per mandarli al San Paolo.

Riesce a rintracciare anche Max, suo fratello. Che da Novara si deve precipitare a Milano.

“A proposito – Max riprende la parola prima di salutare Nelly – l’ospedale San Paolo è nell’Area C?”
“Max! Che domanda!? Cosa fai? Se è nell’Area C non vai?”
Max è meticoloso. Sempre.

(16 marzo 2012)

NELLY (EP. 2)… La donna della mia vita

(Ho conosciuto Nelly mentre all’apice del miglioramento post trapianto di midollo. Camminavo in piena autonomia per 10 km. Facevo fatica sulle scale, quando la strada era in discesa. Avevo ripreso a guidare la macchina con l’unico limite che non riuscivo a girare la chiave nel quadro. Le braccia si erano rafforzate. Le mani concedevano un supporto minimo. Vivevo da solo da più di un anno).
La piazza di Greve in Chianti è uno spettacolo. Anche con il cielo di novembre carico d’acqua. Non c’è anima viva. I negozi sono chiusi. I locali pure. Addio aperitivo. Mi appoggio a un tavolone da esterni della trattoria e continuo a chiacchierare con Nelly.
Stiamo insieme da meno di un mese. Stiamo vivendo l’entusiasmo degli inizi. Le emozioni del solo guardarsi negli occhi. E gli occhi di Nelly sono straordinari. Grandi, aperti, profondi e sinceri. Sono il suo specchio. Parliamo. Scherziamo. Ridiamo. Stiamo aspettando che Moira, una tra le amiche più care di Nelly che siamo venuti a trovare per il ponte dei morti, rientri dalla cavalcata.
C’è qualcosa che mi sta spiazzando. Una sensazione. Mai provata e tanto meno plausibile per due persone che stanno insieme da tre settimane.
La strada statale 222 taglia in due il Chianti da Firenze a Siena. Attraversa un paesaggio indescrivibile. Unico al mondo. Meta degli amanti del buono e del bello. Quello semplice e sincero. L’eredità di una cultura millenaria che non poteva che nascere all’ombra dei campanili che punteggiano le colline della Toscana. Ci stiamo dirigendo verso Siena. Non ho mai visto Piazza del Campo.
“Nelly, di qua non scendo”. Lo dico con serenità e decisione. Yuri, il badante venuto dopo Ivan, è rimasto a Milano. Non voglio rischiare di cadere e farmi male. Soprattutto non voglio rovinare il primo weekend con Nelly inciampando in uno dei gradini che portano alla piazza.
“Perché?” È una domanda retorica. Ma rassicurante.
Con decisione e delicatezza mi mette il braccio sinistro intorno alla vita. Non faccio in tempo a rendermi conto di quello che sta succedendo che sono seduto al tavolino di un bar nella piazza del Palio.
Parliamo. Ridiamo. Scherziamo. Nessun accenno a quello che è appena successo. Non ce n’è bisogno.
E con estrema naturalezza stiamo camminando abbracciati lungo la discesa di Piazza del Campo. Che è ripida. Molto ripida. Almeno lo è per me. In quel momento non me ne accorgo. Quasi.
Continuo a sentire quel “qualche cosa” che mi spiazza. Lentamente la sensazione fa capolino nella mia coscienza. Diventa palese. Straordinaria nella sua semplicità. È la familiarità. Quell’alchimia che si crea solo negli anni. Con Nelly le cose stanno accadendo come se fosse così da sempre. È il suo miracolo. Nelly ti entra nella vita. Sotto la pelle. Con delicatezza. Leggerezza. Discrezione. Semplicità. Come se fosse sempre stata lì. E quando te ne accorgi ti guarda con gli occhi profondi e il sorriso allegro che ti stanno dicendo: “io ci sono”. Più di una promessa. In quel momento la stai già amando.
Con Nelly sono andato dappertutto. Con Nelly ho fatto cose che pensavo impossibili. Nelly mi ispira. Con Nelly do il meglio.
Sono passati 10 anni. Ridiamo. Parliamo. Scherziamo. E siamo una famiglia.
(Novembre 2002)
——————
“Dottor Taverna, io e lei abbiamo in comune una cosa rara”, mi dice il capo del personale di Sai8, il gestore del servizio idrico integrato per il quale sto gestendo la Reputazione.
“Cosa?”
“Siamo tra i pochi ad amare ancora le nostre mogli”.
Oggi, Roberto è un amico insostituibile. Per questo e per altri motivi.
(Luglio 2010)