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Diventare uomo (Presentare “Tutte le fortune” all’ombra del Torrazzo)

“Quale sarà il menù, Ricky?”

Che strana domanda, Stepan non mi ha mai chiesto cosa avremmo mangiato a un ricevimento, a un convegno o semplicemente a una cena con un cliente o con un interlocutore.

“Non lo so proprio Stepan”

“Ma non ha neanche un’idea?”, insiste delicatamente Stepan.

“Sarà qualcosa di istituzionale, Stepan. Un classico primo, magari una scelta tra due o tre opzioni, un classico secondo, roast beef o vitello tonnato”. Le scelte dei menu dai catering sono sempre le stesse. Difficile che sorprendano. Ma in fondo il menu lo sceglie sempre il cliente. Non si capirà mai a chi dei due manca la fantasia.

Questa sera il cliente è il Lions Club Stradivari che con il Lions Club Duomo ha organizzato una cena in mio onore per presentare “Tutte le fortune”. In realtà è stato Luigi a volere la serata. L’ha voluta fortemente. Da quando ha letto la mia autobiografia non dice altro che è il più bel libro che abbia letto. Ma Luigi mi vuole bene, e l’affetto fa parlare il cuore più della ragione. Ci vedremo dopo non so quanti anni. L’ultima volta sarà stata senz’altro a Marilleva dove andavo in montagna. Rivedrò Roberto, che era presente alla presentazione ufficiale del libro, rivedrò Michele. Rivedrò tanti amici di Cremona che erano i miei compagni della montagna.

Chissà perché Stepan mi ha chiesto della cena? Infondo che cosa mi deve importare. Spesso i pensieri di Stepan prendono delle derive che solo lui conosce.

“E se servissero coniglio?”

“Non penso proprio”. Rispondo immediatamente a Stepan e riconosco una punta di risentimento nelle mie parole. Il coniglio.

“La carne di coniglio è cacciagione, ha un sapore particolare che può non piacere a tutti,” spiego a Stepan. Ma in realtà sto palesemente cercando di convincere me stesso.

“Ma come ti è venuto in mente il coniglio Stepan?”

“Niente… Così…”

Il coniglio mi è entrato dentro come un tarlo che scava velocemente. Già, il coniglio. La mia mente torna indietro di quarant’anni, alla Libia. A quella mattina che papà era arrivato a casa con tre coniglietti. Uno per ogni figlio. Con Papà avevamo costruito la conigliera alcuni giorni prima. Dove i conigli cominciarono a passare tutte le notti. Tutte le notti, perché il giorno erano sempre con noi a giocare. Un coniglio per ogni figlio. La garanzia contro i litigi.

I conigli erano cresciuti. Erano diventati adulti. Quando uscivamo in giardino la mattina ci raggiungevano e cominciavamo a giocare. Ma quella mattina papà ci stava aspettando alla conigliera. Aveva in mano un coltello. Aveva legato i conigli al legno. E noi dovevamo ucciderli, perché dovevamo diventare “uomini”. Ho rimosso il ricordo di come sono morti. Non so se ho ucciso il mio coniglio o l’aveva fatto papà. Ricordo il pianto e le urla di disperazione. Ricordo le urla di papà che sovrastavano le nostre “devi diventare un uomo!”. Di sicuro mi ricordo che avevo mangiato il mio coniglio a pranzo tra le lacrime. Un’altra prova voluta da papà per fare diventare un bambino di cinque anni un uomo in una sola mattina. Mamma piangeva. Cercava di proteggerci. Di fare smettere papà. Ma papà era ossessionato da qualcosa che forse neanche lui capiva in quel momento. Io non volevo diventare un uomo. Volevo essere un bambino e giocare con il mio coniglio.

Non sono più riuscito a mangiare carne di coniglio. A malapena riesco a mangiare la cacciagione. Se in uno stufato c’è l’ombra di carne di coniglio i conati prendono possesso del mio stomaco appena la forchetta si avvicina alla bocca. “Ma no, figuriamoci se stasera c’è coniglio”. Penso.

Arrivati a Cremona entro nell’albergo all’ombra del Torrazzo spinto da Stepan che governa la carrozzina con la solita maestria. Abbraccio Luigi.

“Ti ricordi di me?” mi chiede Michele.

“Come potrei non ricordarmi di te”. E ci abbracciamo.

Poi la sorpresa. Carlo è venuto da Reggio Emilia ad ascoltare la ennesima presentazione del libro. Carlo, anche Carlo, adora il mio libro. Sono avvolto dall’euforia di rivedere i miei vecchi amici, di rivedere Carlo. Intanto mi presentano i presidenti dei due Club che si sono uniti per questa serata. Ci dirigiamo verso tavola. Io prendo possesso della posizione dell’ospite d’onore. Alla mia sinistra i due presidenti in carica. Alla mia destra Stepan. Di fronte a me, Luigi, il promotore di questa serata.

La conversazione con i due presidenti è frizzante e piacevole.

All’improvviso capto la voce di Stepan che si rivolge al cameriere con estrema discrezione: “cosa c’è di secondo? “

“Coniglio”, risponde con altrettanta discrezione il cameriere.

Nell’istante successivo il mio stomaco mi lancia un segnale minaccioso, Stepan salta in piedi e chiede al cameriere di accompagnarlo in cucina. Torna con il suo sorriso compiaciuto. Si siede. Si avvicina al mio orecchio e mi sussurra: “stia tranquillo Ricky, di secondo per lei c’è dello speck”.

I pensieri di Stepan seguono sempre dei percorsi che solo lui conosce.

IL SOMMELIER UCRAINO (parte 2-fine)

Ottobre. Torniamo a Rispescia per il secondo appuntamento di “Creare valore con i valori”. Stepan si muove come se fosse sempre stato nel “Centro permanente di educazione ambientale”. È così limpido che è impossibile non volergli bene. Vedere Francesco salutarlo con entusiasmo è un piacere.

Venerdì. A pranzo, nel Ristorante Girasole, stiamo terminando. Ci prepariamo a partecipare al confronto sui valori delle aziende sostenibili. I tavoli quadrati da otto posti cominciano ad avere le prime sedie vuote.

“Dai, Stepan, mi bevo un goccio di vino “

“Però le servo quello speciale Ricky…”

“Tanto per me è uguale Stepan…”

Stepan vede una nuova opportunità per iniziarmi. Si allunga sul tavolo verso la bottiglia di vino rosso, “di qualità”. La prende. Si siede. Mesce il vino nel calice. Lo appoggia davanti a me. E con immenso rispetto per il liquido rosso, immerge delicatamente la cannuccia. Gesti meccanici. Che esegue diligentemente da cinque anni. Ma questa volta un leggero velo di imbarazzo gli attraversa il viso. Cannuccia e vino: accostamento orribile.

La mano di Stepan si allontana lentamente dalla cannuccia. Improvvisamente torna verso il piccolo tubicino grigio. Stepan mi lancia un’occhiata quasi di traverso. Il sopracciglio sinistro alzato. Un ghigno appena accennato. Toglie la cannuccia. Afferra la base del calice e lo muove con un movimento del polso. Con maestria. Il vino ruota scaldando le pareti del calice.

Stepan continua a guardarmi con l’espressione “Ricky, le sto per servire un capolavoro”. Un gesto deciso del polso. Il calice si ferma. Il vino rallenta la rotazione. E un attimo prima che si fermi me lo fa annusare. Poi assaggiare.

Bevo. E mentre lo mando giù, Stepan mi interroga con lo sguardo.

Guardo Stepan con l’espressione “per me è uguale a tutti gli altri…”. Stepan alza gli occhi al cielo. Si fa cadere verso lo schienale della sedia. Svogliatamente prende la cannuccia dalla tovaglia. La butta grossolanamente nel calice e lo spinge verso di me con un gesto di sufficienza. Con l’espressione “meriti di bere con la cannuccia”. Poi si apre nel suo tipico sorriso.

Ottobre 2016

RICKY&STEPAN

IL SOMMELIER UCRAINO (parte 1)

 

È appena arrivato. L’inizio è promettente. Come quello di tutti i badanti, i 49 che lo hanno preceduto. È allegro. Ha la lingua sciolta. Potrebbe anche risultare simpatico.

Chiacchiera. Racconta le sue passioni. Sopra tutte, il vino. Ma “di qualità”, come sottolinea tutte le volte che racconta dei suoi rossi preferiti. “Fruttato”, “retrogusto”, “mosso”, “persistente”. Narra, spiega, dimostra e mi stordisce con il gergo dei sommelier. Non riesco a fargli capire che, se non in casi veramente eccezionali, non posso bere alcun alcolico. E che se potessi non riconoscerei i gusti, figurarsi i retrogusti.

Stepan non perde mai la speranza. Conclude sempre con un convinto: “Le farò assaggiare io i vini buoni, di qualità”, come ama sottolineare sempre. E ogni tanto ci prova. “Sa, Ricky, ieri sera ho assaggiato un vino top. Lo so perché conosco bene i vini, quelli rossi, mi ha insegnato un amico nei sei mesi che sono stato a Nizza”. Questa di un ucraino esperto di vini non mi convince. Anzi.

Dopo cinque anni e vari fallimenti a iniziarmi all’arte di Bacco, entriamo nel piazzale del “Centro permanente di educazione ambientale” di Legambiente a Rispescia: la vera casa dell’associazione. Angelo Gentili e Rita Tiberi hanno preparato un evento che non ci dimenticheremo facilmente. “Creare valore con i valori”, il workshop che segna il nuovo corso del rapporto tra Legambiente e le imprese, incomincerà con una cena di conviviale.

Cinque lunghe tavolate. Intorno, i tavoli con gli antipasti. Ognuno con un prodotto tipico maremmano e il suo produttore d’eccellenza. Siamo nel regno di Francesco Gentili, il guru dell’enogastronomia della Maremma. Gli presento Stepan raccontandogli della sua passione per il cibo e i vini, di qualità.

“Ricky, le devo raccontare una cosa troppo importante…”. Stiamo rientrando in camera. Terminata la cena Stepan si era allontanato. Tavolo dopo tavolo, si era intrattenuto con i produttori.

“Francesco, era al tavolo di un produttore di vini – racconta Stepan senza trattenere l’emozione – mi ha fatto assaggiare dei vini rossi fantastici e me li ha spiegati dicendomi che il secondo era il migliore. Io non ero d’accordo e gli ho spiegato perché…” e ha profuso una sequela di retrogusti, persistenze, fruttati e altri termini mai sentiti prima.

“Allora Francesco li ha assaggiati nuovamente e mi ha detto che avevo ragione…” e continua a guardarmi con le emozioni che stanno raggiungendo le stelle sopra di noi. “Si rende conto? Ha detto che ho ragione! Si rende conto cosa significa per me?”. La storia di un ucraino esperto di vini continua a non convincermi, ma c’è un’eccezione.

 

Giugno 2016

RICKY&STEPAN

 

DI NUOVO UNA PORSCHE PANAMERA

Prima leggi: la sostenibilità vista da Stepan

“Stepan… Lampeggia…”.

Il TIR procede stancamente nella corsia centrale dell’autostrada adriatica rispettando rigorosamente il limite di velocità. 80 all’ora. Il caldo afoso del primo sabato di luglio sembra appesantirlo. La Fiat Uno blu scassata lo sta superando, forse. Arranca faticosamente. Ha raggiunto la metà del rimorchio e procede istericamente verso la motrice. Sta dando il massimo. Tutta se stessa. Sta combattendo sola contro tutti: l’autoarticolato, il caldo, la pressione. Dietro, una Porsche Panamera sta ringhiando. Soffre l’andatura ridotta, la sua libertà castrata. I cavalli dell’otto cilindri imbrigliati si trattengono a stento, non vedono l’ora di spianare la piccola utilitaria arrugginita.

Ci accodiamo e assistiamo allo sforzo del piccolo ammasso di rottami.

Intanto osservo  il retro della Porsche Panamera. Le linee arrotondate nella tradizione della casa. I pneumatici larghi che mordono l’asfalto. I tubi di scappamento che annunciano tutta la sua potenza.

“Stepan…”

“Si Ricky…”

“Lampeggia…”.

Le sopracciglia di Stepan si alzano leggermente.

“Ma… Ricky…”. Stepan è confuso. Guarda la Panamera bloccata dalla Fiat Uno, l’autoarticolato sulla nostra destra.

“Lampeggia, Stepan…”. Le sopracciglia di Stepan si alzano fino a invadere la fronte. Si fa serio e assume l’espressione tipica di quando si prepara a darmi una spiegazione complessa. Sta per abboccare.

“Vede Ricky. Se lampeggio non ha senso. La Porsche non ci può lasciare passare perché non ha spazio. E non può neanche accelerare finché la Fiat Uno non avrà superato il camion. In quel momento la Porsche potrà accelerare e ci lascerà indietro. Quindi, logicamente, non ha senso lampeggiare”.

“Appunto Stepan. Quando ti ricapiterà l’occasione di lampeggiare a una Porsche Panamera?”. Sorrido malizioso.

Ripartiamo dall’autogrill, la pancia riempita da un boscaiolo, un Krapfen e una coca-cola. In pochi metri Stepan raggiunge la velocità di crociera. La corsia di sorpasso è vuota. A dire il vero, l’autostrada davanti a noi è tutta libera. Le macchine sono parcheggiate negli autogrill presi d’assalto dai turisti del fine settimana.

Stepan scarta verso destra. Improvvisamente. La botta di adrenalina mi richiama dal torpore che mi stava assalendo. In un istante siamo nella corsia di destra e l’istante successivo siamo dietro alla Porsche Panamera che procede lentamente. Una manovra assurda, inutile e dannatamente pericolosa.

“Cazzo fai Stepan?!”. Sto per servirgli un sonoro cazziatone. Prendo fiato e mi giro verso il mio badante che ogni tanto mi mette nelle condizioni di strigliarlo. I nostri occhi si incrociano. Esito. La sua espressione da discolo mi sorprende.

“Ricky… Lampeggio?”.

Luglio 2015

LA SOSTENIBILITÀ VISTA DA STEPAN (in viaggio verso Legambiente)

RICKY&STEPANLa Porsche Panamera ci supera in scioltezza seguendo il nastro d’asfalto della A1 che si srotola davanti a noi. Direzione, Roma. La Citroen C4 Gran Picasso oscilla leggermente. Sembra riverire il passaggio di tanta perfezione. Stepan la rincorre con lo sguardo. Mentre a occidente il sole ha cominciato a decorare il cielo con i colori del tramonto.

Rallentata da due camion che si stanno sorpassando, la Porsche ci precede per un paio di kilometri. Poi, appena la corsia si libera, libera tutti i cavalli e ci abbandona. Gli occhi di Stepan la seguono. Sospira.

“Certo con una macchina così farei una più bella figura”.

Stepan rompe il silenzio che ha avvolto l’abitacolo negli ultimi kilometri. Sorrido distrattamente, alzando l’angolo della bocca. Stepan, temendo una gaffe involontaria, corregge subito il tiro.

“Non che questa sia male, anzi – poi non resiste – ma con quella sarei più figo“.

Poi, mette un’altra pezza.

“Certo non sto chiedendo una Bentley…”

Comincio a ridere. E sto al gioco.

“Facciamo così Stepan, se cambio macchina la scegli tu”.

Stepan pensa un attimo, il minimo indispensabile. Poi, accompagnandosi con la mano destra che disegna una serie di cerchi ad indicare “tantissimo” ribatte.

“… eeeee ne deve fare di bilanci di sostenibilità…”.

Ci guardiamo con la coda dell’occhio, prima. Poi ci giriamo uno verso l’altro. Tratteniamo goffamente la risata. Che esplode un attimo dopo.

(Maggio 2015)

LA BARZELLETTA DI STEPAN SU RICKY

Ieri sera ho raccontato a Stepan la barzelletta del Lord che tiene un diario quotidianamente. Nei momenti cruciali della sua vita il Lord racconta sempre che la mattina si è svegliato con il pisello duro, che ha provato a piegarlo. E con orgoglio scrive di non esserci riuscito.

A ottanta anni, il giorno che viene nominato consigliere del Re scrive: “tra l’altro, stamattina mi sono svegliato con il pene duro. Ho provato a piegarlo. E ci sono riuscito. Passano gli anni e divento sempre più forte”.

“Ma questo è humour inglese”, esclama Stepan ridendo.

“Posso raccontare io un barzelletta su Ricky?”, mi chiede soffocando l’ultima risata.

“Vai!”

Stepan comincia a raccontare.

Dobbiamo uscire e Ricky si deve cambiare. Mi chiede: “hai lavato i jeans chiari?”.

“Si”

“Hai stirato i jeans chiari?”

“Sì”.

“Allora, portami i jeans scuri”.

E scoppia nella sua risata entusiasta.

“Bella eh?”, indaga Stepan. Allegro.

“Discreta…”, rispondo cominciando a ridere.

“La scriviamo nel blog allora?”

“Ricky, bisogna spiegare nel blog che ogni tanto mi deve ricordare le cose dieci volte”.

(Ottobre, 2014)

 

IL SENSO DELL’EDUCAZIONE

Stepan è parte della nostra vita. Averlo in giro è diventata più di una piacevole consuetudine. È quotidianità. È il sapore rassicurante della famiglia. Chiedergli se vuole venire al cinema con noi è istintivo, naturale. Come oggi pomeriggio.

Andiamo al multisala di Rozzano a vedere Elysium. Ci godiamo lo spettacolo. Usciamo soddisfatti. In ascensore commentiamo il trailer di Rush. Nelly ha cambiato idea. Vuole vederlo.
Usciamo dalla ascensore parlando della colonna sonora. Ci dirigiamo verso l’entrata principale. Stepan spinge la seggiola a rotelle. Nelly alla nostra sinistra. Passiamo attraverso la folla di ragazzini che affollano l’atrio intorno alle casse. Ci avviciniamo alle porte che si aprono verso l’interno. Con un’intesa perfetta Nelly accelera verso la più vicina. La apre e la tiene aperta. Fuori un gruppo di sei adolescenti. Sei ragazzi appena rientrati dalle vacanze. Tutto accade in un battito di ciglia. I due giovani più vicini alla porta guardano Nelly distrattamente. Buttano un occhio altrettanto distratto alla mia carrozzina. E entrano. Seguiti dagli altri quattro.

“Grazie…”
“Grazie…”
“Grazie…”
“Grazie…”
“Grazie…”
“Grazie…”
Siamo assorti dal film, in parte. E in parte zittiti dall’incredulità.

Passato il sesto, finalmente usciamo nel buio del piazzale. Ci dirigiamo verso il parcheggio. Ognuno con i propri pensieri. Stepan rompe il silenzio con un commento incisivo come una massima: “educazione non è dire grazie. Educazione è fare passare”.
(2 settembre 2013)

100 DI QUESTI POST! "STEPAN E IL BLOG"

(100! 100º post! Quando ho cominciato nel novembre del 2011 non avrei mai pensato di raggiungere questo traguardo. Pensare che mi sembra di avere raccontato così poco. E di avere ancora tanto da raccontare. I traguardi si celebrano con le dediche. Non mi sottraggo al dovere. Dedico il 100º post a Stepan che con grande pazienza si è guadagnato il mio affetto e il mio rispetto. Non c’era post migliore di questo per festeggiare il numero 100: “il” badante che parla del blog)

La mattina ho bisogno di carburare. E Stepan lo ha imparato molto bene. Prima di rivolgermi domande impegnative aspetta che abbia fatto la doccia, lo spartiacque della mia giornata. Dopo la doccia la maggioranza dei miei neuroni attiva: sono operativo.
Ma stamattina Stepan non riesce a resistere. Non trattiene la voglia di raccontare.

“Ieri sera tornavo a casa leggendo il post delle corna sul mio BlackBerry. Morivo dal ridere e la gente mi guardava come se ero matto. Bellissimo”.
Mentre mi racconta continua a ridere di gusto. Si piega. Imita il gesto delle corna non volute. E ride. Ride fino a contagiarmi. Poi continua a raccontare.
“Sa, Ricky, ogni tanto devo leggere una frase più volte per capirla bene, perché cerco di immedesimarmi.Per esempio, il post dell’infarto, quello di lei sul divano, è stato un post dabrividi. L’ho dovuto leggere quattro o cinque volte. Poi l’ho capito. E mi sono detto: questo voleva morire. E se moriva cosa facevo?” Stepan si è fatto serio. Quasi.
“Perciò volevo chiederle una cosa…”
“Dimmi Stepan…”
“La prossima volta che vuole morire può farlo quando non ci sono? Ho già tanti problemi…”
Sorrido. Come posso non volere bene a tanto candore?

(19 giugno 2013)

LA MANO, DARE LE COSE PER SCONTATE

È lì. In fondo al braccio. È sempre lì. Presente. Affidabile. Sempre pronta. 27 ossa, muscoli, nervi, tendini, pelle. Tutto assemblato nello strumento più straordinario che la natura abbia concepito: la mano. È lì, in fondo al braccio, alla periferia dell’io, ai confini della consapevolezza. Quasi una appendice. Eppure non si può far altro che arrendersi all’evidenza. La mano è un miracolo. Afferra, accarezza, costruisce, scrive, parla, scopre, vede, sente, ama, legge, crea, difende, attacca, trasporta, dipinge, scolpisce. E non ci accorgiamo di lei.

Comincio a perdere la funzionalità delle mani. Lentamente. E mentre elaboro strategie alternative per compensare la loro progressiva latitanza, cresce la consapevolezza di loro. Altrettanto lentamente. Più si allontanano, più le riconosco. Riconosco le tenaglie con le quali sfidavo il vento di Hyeres nella Francia meridionale. A L’Almanarre, la spiaggia del windsurf, domavo un quasi-Mistral senza agganciare il trapezio. Tenevo il boma con le mani fino a quando la pelle sui palmi cominciava a bruciare. Riconosco lo strumento di precisione. Penso alle volte che ho tenuto un uovo con due dita. Senza farlo cadere. Senza schiacciarlo. E penso a tutte le piccole operazioni quotidiane che le mani compiono. E sono quasi ignorate.
Grazie alla mano, la vera meraviglia del mondo, le idee diventano realtà. I più grandi capolavori come tante altre “opere di ingegno” si materializzano così. E tra i capolavori riconosciuti, le “opere di ingegno” quotidiane. I piccoli tesori che si realizzano ogni giorno. Una lettera, una  carezza, un piatto di pasta. Tutto ciò che facciamo e che diamo per scontato. Come diamo per scontata la mano, lì in fondo al braccio. E quando la perdiamo, ci ricordiamo di che capolavoro sia.
Le mie mani sono diventate delle vere appendici. Non le uso più. Sono il lontano ricordo di un capolavoro. Mi hanno insegnato a non andare nulla per scontato. Una sfida che ogni tanto perdo. Allora guardo le mani e vedo il mondo da un’altra prospettiva. Più piena. Completa.
Il badante ha sostituito le mie mani. Stepan è il capolavoro.

CRONACA DELL’INFARTO (EP.8) … I retroscena.

La mattina dell’infarto Valeria, la mia collaboratrice, aveva un raffreddore fortissimo. Il naso colava come un rubinetto aperto.

Al pronto soccorso nessuno aveva avvisato Stepan che ero stato colpito da un infarto. Aveva percepito chiaramente che c’era un problema serio. Ma ignorava che fosse il cuore.
Nelly mi stava chiamando dall’Inghilterra per augurarmi una buon giornata. Ne avevo proprio bisogno! Comunque, Stepan che tiene sempre in tasca il mio BlackBerry vedeva le telefonate. E, seguendo una logica ineccepibile, non rispondeva.

“Se rispondo e le spiego che Ricky è grave, Nelly riparte subito per Milano. E se poi tutto si risolve in una bolla di sapone ci vado di mezzo io. Se le dico che non c’è nulla di grave e poi succede una tragedia, ci vado ancora di mezzo io. Meglio aspettare”. Ineccepibile. Così Nelly si era convinta che fossi in riunione.

Dopo avere firmato il consenso all’intervento al cuore in endoscopia e avere visto la barella precipitarsi verso l’unità coronarica, Stepan aveva le informazioni corrette per chiamare Nelly. Che vede comparire il mio numero e…

“Ciao mon amour”.
“No signora, sono Stepan”.
“Ah, me lo passi?”
“Non posso, siamo in ospedale”.
“Ah, state ritirando il farmaco?” domanda a Nelly convinta che sono al San Raffaele.
“No signora”. La tensione rende le risposte di Stepan particolarmente essenziali.
“Allora dove siete?”
“Al San Paolo”.
“Allora passamelo…”.
“Non posso”.
Nelly comincia a innervosirsi. “Stepan, in che reparto siete?”
“Aspetti che chiedo ………… Unità coronarica signora”.
“Passamelo!”
“Non posso, ma sta bene”.
“Ma cosa ha avuto?!”
“Non lo so, ma sta bene”.

A questo punto Nelly è ovviamente preoccupata. Ricky ha avuto un problema al cuore. Ma quello che la spaventa è che non le dicano la verità per farla rientrare in Italia con moderata tranquillità. Chiama in ufficio per vedere se Valeria ne sa qualcosa di più.

“Bbuoondo”, risponde Valeria tirando su con il naso due volte.
Per Nelly è tutto chiaro: sta piangendo. È successo il peggio.
Valeria racconta a Nelly come sono uscito dall’ufficio. Nelly si rassicura appena appena. E incomincia a telefonare a tutti gli amici per mandarli al San Paolo.

Riesce a rintracciare anche Max, suo fratello. Che da Novara si deve precipitare a Milano.

“A proposito – Max riprende la parola prima di salutare Nelly – l’ospedale San Paolo è nell’Area C?”
“Max! Che domanda!? Cosa fai? Se è nell’Area C non vai?”
Max è meticoloso. Sempre.

(16 marzo 2012)