Pausa pranzo. Esco dall’agenzia per fare il giro dell’isolato a piedi. Basilio mi accompagna. È il secondo giorno che sostituisce Ivan .
È passato un anno e mezzo dal trapianto di midollo. Cammino sempre meglio e più a lungo. La “prova Paola”, che faccio tutti i sabato pomeriggio, mi rende più tranquillo e sicuro di me. Delle mie gambe. Il passo rimane incerto. Ed è palese. Ma non troppo. Le gambe leggermente divaricate per avere una migliore base d’appoggio. Le braccia leggermente lontane dai fianchi per aiutare l’equilibrio. L’andatura leggermente ciondolante. Riesco comunque a camminare per 4 km. Ho chiesto a Ivan, in questo caso a Basilio, di camminare poco più indietro. Voglio avere la sensazione di essere da solo. Perché prima o poi camminerò ancora da solo.
L’andatura è ciondolante. Leggermente. Chi mi incrocia se ne accorge. Non subito.
Camminiamo per la strada distrattamente. Un filo sottile ci guida verso la destinazione verso la quale ci muoviamo con il pilota automatico. La mente invece insegue la quotidianità. Programmi, scadenze, lavoro, problemi, stanchezza. Prevalgono sulle gioie, seppur piccole, che ogni giornata ci offre e che fatichiamo a riconoscere. Siamo prigionieri inconsapevoli dei nostri schemi. Un’andatura ciondolante è una perturbazione dello schema. Da lontano non la riconosciamo. La interpretiamo. La riconduciamo ad uno schema che ci rassicuri. Ma ora che la stiamo incrociando ci trascina nel momento. Nel “adesso”. Dobbiamo capire. Guardiamo rapidamente per terra per vedere se ci sono asperità. No. Cerchiamo i suoi occhi per conoscerlo. Osserviamo le sue gambe per avere la conferma: ha dei problemi. Lo sguardo iniziale di leggera sorpresa diventa una smorfia discreta. Tra il sorriso di solidarietà e la tristezza per la compassione. Rapidamente torniamo ad inseguire la quotidianità.
Non sono certo che accada così. Ma non ci devo essere lontano. Ieri però succedeva in modo diverso. Chi mi incrociava non era “leggermente sorpreso”. Era assolutamente basito. Strabuzzava gli occhi. E la discreta smorfia, un ghigno di compartimento e di divertita perplessità. Per indurre questa reazione devo proprio camminare male. Forse l’effetto del trapianto di midollo sta passando e sto incominciando una nuova regressione. Pazienza. La affronterò. Intanto oggi mi concentro per rendere l’andatura la più fluida possibile.
“Strabuzzano gli occhi! Sto camminando da tre minuti. Avrò fatto 300 m. Sono risposato. E strabuzzano gli occhi! Cazzo! Un momento … . Non stanno guardando me. Non guardano le mie gambe, almeno non subito. Guardano dietro di me. Cosa cazzo…? Cammino. Penso. Penso camminando… . No! Non è possibile! Non può essere che…”.
Continuando a camminare mi sposto verso il muro alla mia destra. Lo tocco. Faccio un passo più lungo con la gamba destra. Avvicino la gamba sinistra al muro. Ruoto verso sinistra appoggiando la schiena e le braccia aperte al muro per mantenere l’equilibrio. È lì. Basilio è lì! Che mi sta seguendo accasciato. Le braccia aperte pronte a prendermi. Come un portiere prima di parare un rigore.
“Basilio, che cazzo stai facendo?” Gli domando trattenendo a stento una risata fragorosa, un urlo di biasimo, la sorpresa… .
“Se cadi…”, mi risponde guardandomi dal basso verso l’alto con l’espressione di chi viene sorpreso sul water .
“Ma ieri hai fatto il giro dell’isolato camminando così?” Domando temendo la risposta.
“Si…”
Eppure gli ho spiegato che se cado non si deve assolutamente preoccupare.
“Cazzo Basilio – continuo rassegnandomi all’ineluttabilità della situazione grottesca -come ti è venuto in mente? Chi cazzo te l’ha detto?”.
“Ivan mi ha detto che se ti fai male mi ammazza” mi spiega incominciando a preoccuparsi.
Ivan torna tra un mese. Sarà un mese lungo. Molto lungo.
(Luglio 2001)