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IL CIRCOLO L’ANATROCCOLO (LEGAMBIENTE) E IL TAVOLO DELL’ACQUA

(Nell’ambito del progetto di affermazione della reputazione di SAI8 diamo vita al Tavolo dell’acqua, un luogo di confronto e condivisione di problemi e informazioni con le parti sociali della provincia per prendere decisioni partecipate).

Prospero segue Pippo con lo sguardo. Il presidente de “l’anatroccolo”, il circolo di Legambiente di Priolo, inserisce la chiave nella toppa. Prospero continua a guardarlo. Seduto sulla carrozzina, in mezzo alla piazzetta, finisco di presentarmi ad alcuni componenti del direttivo del circolo che partecipano all’incontro. Distrattamente i miei occhi inquadrano Prospero, il capo ufficio stampa di SAI8. L’incontro si preannuncia molto impegnativo. Non sarà facile convincere il circolo a partecipare al “tavolo dell’acqua”. Ottenere l’incontro è stato già un successo.

Pippo gira la chiave. Apre la porta e si ferma. Gli occhi di Prospero si sbarrano per un momento impercettibile. Quasi. Mi lancia un’occhiata e raggiunge Pippo. Confabulano brevemente. Poi Prospero ci raggiunge mentre Pippo entra e viene inghiottito dal buio del piccolo androne della costruzione di un piano, bianca, squadrata, semplice.

“Ricky, vieni a vedere”. È preoccupato.

Ci avviciniamo alla porta di legno.

“Dimmi Prospero”.

Prospero mi rivolge un’occhiata eloquente “ma come, non vedi?”

“Si, la faccio”.

“Ma…”, cerca di intervenire Pippo.

“Non c’è problema”. Cerco di rassicurare tutti. Che mi guardano con malcelata perplessità.

Oltre la porta mi aspettano due rampe di scale. Brevi. Ripide come ce ne sono poche. Come non ne ho mai fatte. È un problema. Ma devo farcela.

Chiamo Adel, il badante di turno. E gli do le istruzioni. Salire con il peso sbilanciato in avanti più del solito. Se dovessi cadere all’indietro non deve cercare di trattenermi. Deve scaraventarmi in avanti. Senza troppa delicatezza. Ritmo.

Partiamo. Primo gradino. Secondo. Le gambe tengono. Il fiato pure. Tutto ok. Si parte.

Entro nella sede del circolo appoggiato ad Adel. Le gambe sono indebolite dallo sforzo. Il fiato mi manca. Passo dalla piccola segreteria alla sala riunioni. Le sedie allineate contro il muro. Mi avvicino a quella nell’angolo in fondo a sinistra mentre qualcuno da dietro mi domanda: “tutto ok?”

Non rispondo. Mi siedo. I polmoni reclamano aria.

“Datemi 30 secondi”. Inspiro profondamente. Trattengo pochi secondi. Espiro lentamente. Inspiro profondamente. Trattengo pochi secondi. Espiro lentamente. Inspiro profondamente. Trattengo pochi secondi. Espiro lentamente.

“Bene – annuncio con un sorriso rassicurante – possiamo parlare”

Il circolo non parteciperà al tavolo dell’acqua. Scendendo le scale, per un istante mi viene il dubbio che ne sia valsa la pena. Il dubbio è retorico. Per cambiare il mondo, o per provare a farlo, nessun ostacolo è insormontabile. Neanche due rampe di scale ripide e pericolose.

(giugno 2010)

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LAVORO E DISABILITÀ (parte 5) … incontri che hanno fatto la differenza. Alessandro Paciello

Aida era l’agenzia di relazioni pubbliche di una società controllata da TC Sistema.  Coordinare la comunicazione di tutte le società del gruppo rientrava nel nostro incarico. Fu così che ci conoscemmo instaurando fin da subito un rapporto aperto, cordiale, collaborativo.
Quello che non capivo era perché Giovenale, uno dei miei tre soci, continuasse a denigrarlo. Ogni occasione era  buona. Era sufficiente pronunciarne il nome. Erano tante le cose  di Giovenale che non capivo più. E mentre i mesi scorrevano mi rendevo conto sempre di più che non condividevamo più gli stessi valori. Anzi, probabilmente, non li avevamo mai condivisi. Per esempio, ero assolutamente contrario alla sola idea di cercare di portare via un cliente ad un amico.  La lealtà è un valore non negoziabile. Tanto quanto l’umanità.  Mentre le differenze diventavano sempre più  palesi, Giovenale si sottraeva ad un confronto aperto e franco. Il conflitto era sempre più acceso. E Giovenale mi  attaccava, con lucidità, là dove un amico non avrebbe mai  dovuto: la mia  disabilità. I tentativi di umiliarmi andarono a vuoto. La sofferenza invece fu atroce. Colui che avevo considerato un amico ineguagliabile per sensibilità, lealtà e altruismo in un attimo si era dissolto nella sua nemesi.
Me nei andai. Disilluso. Più cinico. Quasi certo che lavoro e valori non fossero conciliabili. Un mese dopo fui richiamato da TC Sistema. E ricominciai a essere il loro consulente di comunicazione. Alessandro e io ci eravamo persi di vista. Ci eravamo sempre sentiti solo per  lavoro. E ciò non accadeva da più di un anno. Quando venne a sapere che mi ero staccato dall’agenzia mi chiamò per coinvolgermi in un progetto sull’etica di impresa. Cominciammo a sentirci regolarmente rinsaldando il vecchio rapporto professionale. E andando oltre.
Era sera. Il telefono squillò. Alessandro dall’altro capo della linea. Voleva sapere dei miei rapporti con TC Sistema. Giuliano, il nuovo direttore marketing, gli aveva chiesto un preventivo per due focus group. Lo stesso progetto al quale stavo lavorando. “Bene – mi disse senza alcuna esitazione – non  presentiamo il preventivo. Noi non andiamo contro gli amici”.  Una scossa mi percorse la schiena. Vertebra dopo vertebra. Sempre più intensa. Fino ad esplodermi nella testa e nel cuore. Sorpresa e gioia. Allora era possibile! Si poteva stare sul mercato con  lealtà e rispetto per il prossimo.
Alessandro mi ha dato un patrimonio dal valore inestimabile: tornare a credere negli altri. Credere nell’idea che lavoro e valori possono essere  coniugati insieme. Credere nell’amicizia come valore alto. Che è sufficiente un Alessandro per  i  tanti Giovenale che si incontrano per credere, e lo penso senza retorica, in un mondo migliore.
Tutte le volte che incontro un Giovenale, e mi è capitato di incrociarne altri, penso ad Alessandro. Sento la scossa, e continuo.

LAVORO E DISABILITÀ (parte 4) … incontri che hanno fatto la differenza. Ronan Bryan

Ronan Bryan, amministratore delegato di Dow  Jones Markets Italia.
Il colloquio era andato ben oltre il tempo previsto. Ronan mi stava annunciando l’imminente uscita di Emma e il suo desiderio che fossi io a sostituirla. Come al solito misi in luce con estrema chiarezza i limiti che dovevo affrontare con il peggioramento della funzionalità delle mani.  Dalla mia entrata in Dow Jones erano  regredite.
“Ronan, voglio che tu tenga bene in mente questo scenario”, conclusi.
“ Noi ti scegliamo per la tua testa, le tue idee e la tua capacità di gestione, non per le tue mani. E ti metteremo a disposizione ciò che ti permetterà di essere efficiente: software, arredamento”. Ronan fu perentorio.
Grazie a Ronan incominciai a convincermi sempre più che sul lavoro i limiti delle mie mani erano più nella mia testa. E che se riuscivo a  dimostrare le mie capacità i limiti svanivano. Nella mia testa e in quella di chi mi stava di fronte.

LAVORO E DISABILITÀ (parte 3) … incontri che hanno fatto la differenza. Emmanuelle Girodet

Emmanuelle Girodet, responsabile comunicazione  e marketing di Dow Jones Markets Italia, era stata cliente de “ La borsa in tasca” fin dalla prima edizione.
Avevo lasciato MGD & Associates da quasi un anno. Mi stavo prendendo un anno sabbatico. E stavo cercando di finire l’università. Mi ero staccato per divergenze di opinione consapevole del rischio che correvo. Prima di lasciare  i signori Duncan avevo fatto dei colloqui con agenzie di relazioni pubbliche prestigiose ed erano andati tutti bene.  Ero sempre arrivato al colloquio con l’amministratore delegato  il  cui entusiasmo scemava quando mi sentiva raccontare dei problemi alle mani.
Mi rendevo conto che per un manager  superare i limiti dei miei problemi  era molto impegnativo. Ad ogni colloquio il problema si sarebbe ripresentato. Perché non avevo alcuna intenzione di cominciare a nascondere il mio stato e le sue prospettive. Il mio futuro professionale riposava all’ombra di una grande incognita. Da affrontare dopo la laurea.
Invece arrivò la telefonata di Emmanuelle. Mi voleva vedere. Seduti in sala riunioni affrontò il motivo  dell’incontro con naturalezza e semplicità.
“Riccardo, so che non stai lavorando. E una risorsa come te non la lascio sul mercato. Sto organizzando un grande evento e ho bisogno d’aiuto. Vorrei che tu salissi a bordo”.
“Emma, ti ricordo i limiti imposti dalle mie mani…”, risposi.
“So come lavori e quello mi basta”, Emma tagliò corto.
Il giorno dopo cominciavo. Prendendo il posto di Emma quando, sei mesi dopo, fu lei a lasciare l’azienda per seguire una nuova avventura. Emmanuelle è di gran lunga la persona che più ha  lasciato il segno nella mia vita professionale. Aveva aperto una porta sul mio futuro. Non mi aveva indicato la strada. Aveva fatto di più. Mi aveva fatto capire abbastanza esplicitamente che ce l’avrei fatta qualsiasi strada avessi scelto. Ancora oggi quando la disabilità getta un’ombra sulle mie prospettive lavorative, e l’incertezza cresce, nelle parole di Emma trovo l’energia per continuare. Emma e io abbiamo trovato altre occasioni per collaborare.

LAVORO E DISABILITA’ (parte 1) … trasparenza a tutti i costi

 Lavorare rimanendo coerente al principio della trasparenza sulla mia malattia non è stato facile. Soprattutto i primi anni quando,volendo, avrei potuto nasconderla con estrema facilità. Ho preferito essere onesto sempre.  Con il risultato che molti hanno creduto in me. Altrettanti non lo hanno fatto. Certamente ho perso delle opportunità perché il mio interlocutore del momento non aveva il coraggio di rischiare assumendo un disabile, seppur in quel momento impercettibilmente tale, o scegliendolo come consulente. Sicuramente  ho rifiutato proposte che mi avrebbero consentito di  lavorare e vivere più serenamente per coerenza a valori che ho sempre considerato  superiori come l’amicizia e la mia dignità.
Negli anni ho incontrato persone  straordinarie che mi hanno reputato all’altezza delle loro aspettative investendo in me, persone, spero poche, che mi hanno ignorato, persone, pochissime, che mi hanno ferito  umanamente prima e professionalmente poi. Ho incontrato persone che hanno accettato la mia sfida professionale alla disabilità, altre che hanno cercato di approfittare della mia sfida facendosi trainare. Da me, un disabile.
Oggi che la mia disabilità è diventata più intrusiva continuo a lavorare con la stessa passione  che aveva quel  sognatore che si imbarcava per New York per cercare un’agenzia di pubblicità sulla quale fare la tesi di laurea: “Gestione strategica delle agenzie di pubblicità americane”. Passione, determinazione e convinzione che la disabilità non fosse un limite non sono cambiate. Se dovessi riassumere il mio atteggiamento sul lavoro lo farei attraverso questo breve dialogo con Ninfa, una carissima amica conosciuta, guarda caso, per lavoro.
Era una mattina di ottobre (2012). Ci stavamo salutando dopo una riunione dove avevamo parlato dei nostri progetti comuni.
“Cosa ti spinge ad andare avanti nonostante tutto questo?”, mi chiese con la sua solita schiettezza riferendosi alla CIDP,  all’infarto, al Parkinson, ai pochi clienti, alla crisi economica dilagante.
“Tre cose Ninfa. Amo quello che faccio. Non so fare altro e altro non vorrei fare. Nel mio lavoro non ho ancora detto tutto quello che ho da dire”.

AL LAVORO LA DISABILITÀ È UNO STATO MENTALE

“Ricky perdonami, ho fatto una stronzata”.
La voce  di Laudetta è quella di sempre: chiara e decisa. Il riflesso della sua personalità. Questa volta però percepisco una leggera indecisione. È una sensazione, strana. A dirla tutta mi ha sorpreso già dalla sola telefonata. Tra poco più di un’ora dobbiamo presentare il piano strategico di comunicazione a tutto il vertice di TC Sistema. Tra direttori di divisione e amministratori delle controllate assisteranno circa 30 manager. Laudetta ha coordinato tutto. È più di una segretaria di direzione  e assistente del presidente. Organizza, coordina, risolve problemi. Nulla le sfugge.
“Cosa è successo Lau?” chiedo tranquillamente.
“Ho organizzato la presentazione nella sala riunioni  del consiglio al terzo piano”, mi spiega. L’ansia appena percepibile.
“E…”, interloquisco.
“Non c’è l’ascensore e mi sono dimenticata  della fatica che fai a camminare”. Sembra che mi stia spiegando le mie difficoltà.
“Qual è il problema Lau? Ora che lo so parto prima”. Cerco di spiegarle che non è un problema.
“Ma Ricky, sono sei rampe di scale…”, protesta.
“Tranquilla Lau. Parto subito e salirò le scale lentamente. Grazie per avermi avvertito. Per l’inizio dell’incontro sarò seduto placidamente nella sala riunioni”. Riesco a rassicurarla.
Sono arrivato a Garbagnate 40 minuti prima  dell’inizio della riunione. Con calma, e con l’aiuto di  Ivan mi sono arrampicato  fino al terzo  piano. La presentazione è andata benissimo nonostante l’idiozia dello “Stratector”, il nome che Giovenale, il mio socio, aveva proposto per i consulenti di TC Sistema.
Ho sempre amato lavorare. Ho lavorato e lavoro tutt’oggi ispirandomi a pochi valori, ma chiari. Responsabilità, innovazione, onestà intellettuale e trasparenza. Non ho mai nascosto la mia  disabilità, anche quando era facilmente occultabile e le circostanze me lo suggerivano. E non ho mai permesso alla disabilità di essere un limite per i miei clienti.(marzo 2002, circa)

RICKY OVVERO L’ASSICURAZIONE SULLA VITA

“Ricky, ti sei accorto che non sto parlando da 10 minuti?”
Porca miseria! È vero! Stefania non sta parlando da 10 minuti… fatto a dir poco eccezionale!
Stiamo tornando dal Lago di Neuchatel in provincia di Berna (Svizzera). Eravamo andati a fare un sopralluogo alle installazioni dell’Expo 2002. Stiamo organizzando il Media educational per  TC POS, il software gestionale per i punti vendita per il quale la mia agenzia di relazioni pubbliche gestisce l’immagine.
Siamo partiti la mattina presto. Ivan, senza passaporto né carta d’identità, non può accompagnarmi. Poco male. Basta organizzarsi. Stefania guida la mia macchina. A camminare ho pochi problemi. Dopo il trapianto di midollo di quasi due anni prima me la cavo egregiamente. Berrò poco. Non posso andare in bagno da solo. Questo non mi preoccupa affatto perché sono allenatissimo a “trattenerla”.
Stefania è l’ account con la quale gestisco i clienti istituzionali. Lavoriamo insieme da quasi due anni. E ci capiamo al volo. Con lei non ci si annoia mai. Ha sempre qualcosa da dire.
Sono le 20.00, è già buio. E siamo sulla strada del ritorno. Abbiamo lavorato bene. Abbiamo rispettato il programma. E il sole ci ha accompagnati tutto il giorno. Stiamo attraversando il tunnel del Gottardo. Usciamo dalla galleria.
“BRAAAM!!”
In un istante siamo proiettati in uno scenario apocalittico. Sbattiamo contro un muro d’acqua. Acqua da tutte le parti. Così fitta da sembrare in un acquario. Lampi. Così vicini. Così luminosi da sembrare in macchina. Tuoni. Così violenti che sembrano esplodere nelle orecchie. Uno scenario da apocalisse. Affascinante, quando i lampi illuminano a giorno le montagne. Sono quasi rapito.
“Ricky, ti sei accorto che non sto parlando da 10 minuti?”. Stefania interrompe il silenzio cercando di darsi un tono.
“È vero Stefina …!” Rispondo quasi esclamando. E riconoscendo l’eccezionalità del fatto.
“Devi sapere Ricky, che non parlo quando ho paura… e sono terrorizzata dai temporali”.
E adesso. Cosa le dico? Il primo autogrill a 10 km! Di fermarsi in discesa con questo tempo è da folli. È un attimo essere tamponati. Meglio razionalizzare…   .
“Vedi Stefina… finché sei con me sei in una botte di ferro. Non ti può succedere niente”, le rispondo con convinzione assoluta.
“Non mi può succedere niente, in che senso?” Interrompe Stefania mantenendo il controllo. In realtà sono sicuro che tra le righe intende dire: “Cazzo stai dicendo Ricky!? Ti rendi conto che ti sto dicendo che sono terrorizzata!? E che sto guidando la macchina!?”. Un “cazzo” di chiusura ci sta anche bene.
“È una questione logica Stefina – riprendo con maggiore convinzione – con tutte le sfighe che ho, la malattia neurologica, non ho più i genitori… è tutto quello che sai, è statisticamente improbabile che io venga colpito da un fulmine, che mi capiti un incidente automobilistico… o qualsiasi accidente del genere. Giusto?” Concludo piantando i miei occhi nei suoi.
“Giusto!” Risponde Stefania. La voce piena. Rotonda. Come se intendesse dire: “come ho fatto a non pensarci!”.
“Appunto. Di conseguenza, finché mi stai vicina le stesse cose non possano accadere a te!”.
Siamo arrivati a Milano senza problemi. Stefania non ha più smesso di parlare.
(Settembre 2002)