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SORPRESA DA FIRENZE (parte 2 – fine)

Prima leggi: SORPRESA DA FIRENZE (parte 1)

Fare breccia in un bunker protetto da un arsenale di intelligenza, intuito e dialettica sopraffina è una missione impegnativa. Molto impegnativa. Come fare cambiare idea a Nelly. Cercare di dissuaderla, invece, è una missione impossibile. Il fallimento è certo. Perché prima ancora che si cominci solo a pensare di affrontare il bunker bisogna superare una barriera fatta di convinzione granitica. Un bastione insormontabile contro il quale si schiantano tutti i tentativi. Anche quelli più raffinati.

Curiosi e assonnati. I due occhi piccoli mi fissano. E mi ricordano che quando Nelly si mette in testa qualcosa, prima o poi la fa’.

Ne avevamo parlato ogni tanto. Poche discussioni ma profonde. Avevo cercato di dissuaderla. Di farle capire che se lo avessimo fatto tutto il peso sarebbe caduto sulle sue spalle. “Mon amour, non ne hai mai avuto uno. Non sei abituata a gestirlo. E io, nelle condizioni in cui mi trovo, non posso aiutarti”.

Mi illudevo di averla convinta. Fino alla volta successiva. Ricominciavamo a parlarne come se fosse la prima volta. Non mi restava che sperare che se ne dimenticasse. O che continuasse a rimandare, fino all’infinito.

Invece. La sera prima mi aveva telefonato da Firenze. Pitti Uomo chiudeva e la titolare della griffe le aveva chiesto di restare a cena per convincere un’importante boutique giapponese a completare l’ordine di maglioni di cachemire con i modelli più innovativi. Ci saremmo visti il giorno dopo in ufficio.

Ora era lì, in piedi davanti a me con gli occhi luminosi che tracimavano gioia. La gioia di Nelly quando sta facendo felice qualcuno. Seduto sulla poltrona presidenziale in simil pelle nera mi ero trascinato oltre la scrivania. Eravamo uno di fronte all’altra. La piccola cucciola che Nelly teneva goffamente e io. Le ho avvicinato la testa e arricciato il naso. La lingua era guizzata verso la punta. Era rientrata prontamente. Mi stava studiando. Per poi lanciarsi verso il mio viso per una leccata vigorosa. Era appena scoppiato un amore.

Una piccola Jack Russell “sbagliata”, tutta color biscotto, era entrata nella nostra famiglia. Cookie, due occhietti vispi, un mozzicone di coda sempre in movimento, stava per prendere possesso di casa nostra.

 

Aprile, 2003 (circa)

sorpresa

Che cos’hai in bocca?

Il parco di Villa Mamoli è il regno di Cookie. Quando arriviamo al cancello della villa di Patrizia salterebbe fuori dal finestrino tanta è la voglia di esplorarlo.

Serata d’agosto. Barbecue sotto il Cedro. Una pianta imponente che sembra reggere il cielo stellato. Gigi e io chiacchieriamo seduti al tavolino di ferro apparecchiato.

Dalla luce fioca, che illumina il perimetro della villa, un rumore di unghiette sul marciapiede. Cookie sta arrivando. Butto l’occhio distrattamente. Cookie cammina concentratissima. In bocca tiene qualcosa che non riesco a distinguere.

“Che cos’hai in bocca?”, Lo dico istintivamente. Addirittura mi sorprendo di avere parlato.

“Toc!”

È il rumore di un pezzo di legno sul cemento. Mi volto. Cookie si è fermata, la bocca aperta. Un ramo lungo quasi quanto lei davanti alle sue zampe.

“Possibile che capisca…?”. Il pensiero mi torna in mente più volte durante la cena.

 

“Che cos’hai in bocca?”

“Toc!”. Il rumore viene dalla piscina.

 

“Che cos’hai in bocca?”

“Toc!”. Il rumore ci raggiunge dalla strada che porta al cancello.

 

“Che cos’hai in bocca?”

Se potesse mi sbranerebbe volentieri

 

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