Prima leggi: Il tentativo di evasione del signor Corsaro
“Non vedo nessuno”, sussurra il signor Corsaro.
È stata una notte tranquilla. Tranquilla più delle altre. Ho evocato “il Petrarca” solo una volta. E mi sono riaddormentato così velocemente da non fare in tempo a sentire i singhiozzi del mio compagno di camera.
La mattina era stata uguale a tutte le altre. Sveglia, colazione, igiene, immunoglobuline endovena. Il libro per farmi compagnia nelle ore inchiodato al letto dall’ago nel braccio, la visita dei neurologi.
In piedi, ai piedi del suo letto, i neurologi sprofondano nella cartella clinica del signor Corsaro. Ogni tanto si scambiano cenni d’intesa. Ogni tanto si confrontano nella loro lingua ermetica. Consultano le analisi e gli esami, la pila di documenti che ha gonfiato la cartellina di cartone azzurro in poco più di dieci giorni. Poi, solennemente, annunciano: “bene signor Corsaro, oggi la dimettiamo, avvisiamo noi casa. E… non esca dalla camera”. Mentre si precipitano verso la porta per affrontare la prossima cartella clinica, un neurologo torna indietro. Mi guarda come aspettando che mi accorga di lui.
“Si…?”. Alzo gli occhi dal libro. Lo guardo per fargli capire che sono attento. Il neurologo esita. La mia espressione perplessa deve averlo bloccato.
“Si, …”, ripeto per incoraggiarlo.
“Scusi, signor Taverna, potrebbe pensarci lei…”. Le parole scivolano fuori dalla bocca. Cercano di essere discrete mentre indica il signor Corsaro con un cenno della testa.
Messaggio ricevuto.
“Signor Corsaro”.
“Ai suoi ordini”.
“Ho ricevuto un ordine di servizio – annuncio con un marcato tono prossimo all’emergenza – questa mattina nessuno può uscire dalla stanza”.
“Come mai? Se posso chiedere…”.
Devo trovare immediatamente un motivo che sia plausibile. Almeno per lui.
“Questa mattina un pericoloso criminale, associato al clan dei corleonesi della mafia siciliana, è stato ricoverato in questo ospedale. È scortato dai servizi segreti. L’ordine è di non uscire per permettere agli agenti speciali di controllare gli accessi al reparto senza interferenze”.
Il signor Corsaro annuisce. E rimane ai piedi del mio letto. Continua a fissarmi. Ah, mi stavo dimenticando:
“Può andare”.
Invece di sedersi sul letto, il signor Corsaro si avvia verso la porta della camera. Mi siedo sul letto per osservarlo.
Apre la porta.
Sto per richiamarlo all’ordine in modo perentorio quando il signor Corsaro si ferma, guarda attentamente il pavimento e allinea attentamente le punte delle pantofole al filo della porta. Si sporge leggermente in avanti. Gira la testa leggermente verso sinistra. Fa un leggero passo indietro. Allinea nuovamente le punte delle pantofole al filo della porta, si sporge leggermente in avanti e gira la testa leggermente verso destra. Chiudi la porta e sospira.
“Non vedo nessun agente”, mi dice facendomi capire palesemente di sentirsi preso in giro.
“Se lei li vedesse non sarebbero agenti dei servizi segreti”. Rispondo senza alzare gli occhi dal libro.
“In effetti…”, ammette il signor Corsaro.
Il signor Corsaro riapre la porta, riallinea le punte delle pantofole al filo della porta e si sporge leggermente in avanti. Passerà tutta la mattina a girare la testa leggermente verso sinistra. Poi, leggermente verso destra.
Appena dopo il pranzo il signor Corsaro lascia il reparto di neurologia del DIMER del San Raffaele. Uscendo, non mi saluta. Me l’aspettavo, un po’. Ma una parte di me, il capo di stato maggiore dell’Ospedale militare, per un attimo si è sentita offesa. E per un attimo ho pensato che tutto fosse stato frutto della mia immaginazione.
“Contento Ricky?… Si ritorna alla tranquillità!”. La voce di Raffaella, l’infermiera, mi raggiunge dal corridoio. È successo veramente.
1995