“Si accomodi fuori, per cortesia”. Per cortesia è superflua. Il Prof. non chiede favori,ordina. Con cortesia, ma sono ordini. Il mio compagno di camera esegue diligentemente. Fende la folla di medici, assistenti, studenti che sono entrati in camera dietro al Prof. esce e chiude la porta. Siamo rimasti soli. Soli. Insomma. Ai piedi del mio letto ci saranno 15 persone. Mi siedo con le gambe incrociate.
Il Prof. prende la parola: “questo paziente è diverso, va trattato in modo differente”. E spiega che mi va raccontato tutto, nel bene e nel male. Che tutto va raccontato a me per primo, senza intermediari. Comunica la terapia: immunoglobuline endovena. Niente cortisone. La camera è in un silenzio glaciale ma vivo. L’espressione della massima concentrazione. Le parole del Prof. portano tutto il peso del suo carisma. Sono dirette, sicure. Sono Vangelo. Io sono soddisfatto. Contento. La certezza di aver fatto la scelta giusta: tornare in ospedale dopo tre anni di medicina alternativa con il medico giusto.
“Voglio che uno di voi lo segua direttamente e riferisca a me”,comanda il Prof. L’esitazione è lunga. In qualcuno si trasforma in timore. Dalla seconda si fa avanti un giovane dottore. I lineamenti gentili, la voce delicata, gli occhi profondi. “Io”. Giuseppe si offre volontario con decisione. Un modo inaspettato che contrasta con la sua figura. Alcuni colleghi che lo guardano come se stesse per compiere un atto eroico. Incomincio ad intravvedere un nuovo lato del Prof.: incute timore. Lo osservo mentre spiega che non verrò sottoposto a puntura lombare e la biopsia del nervo. Solo l’elettromiografia. E noto la deferenza dello staff. Io mi sento completamente a mio agio.
Il giorno dopo incomincia la terapia a base di immunoglobuline: 14 ore di flebo. Per fortuna c’è la televisione. E gli amici. Persone straordinarie che non mi lasciano mai solo. Il secondo giorno di terapia le dita della mano destra si muovono nettamente meglio. La sensazione di pesantezza delle gambe passa. Funziona!
Una settimana dopo l’incontro con il Prof., otto anni dopo essermi auto dimesso rientro al DIMER dall’ingresso principale. Ci tornerò per anni. Tanto che in alcuni momenti il reparto di neurologia mi è sembrato l’estensione di casa.
(marzo 1995, circa)