“Scusi signor Taverna, devo rifarle la lastra. Non si riesce a vedere se è ben alloggiato”, mi annuncia il tecnico spingendo la macchina per i raggi X nella stanza. È la seconda volta in mezz’ora.
Inclino lo schienale del letto. Il tecnico posiziona la lastra tra la mia schiena e il materasso. Alzo la maglietta. Il tecnico indossa il grembiule protettivo di piombo. Preme un tasto sulla consolle di comando. Il tubo radiogeno si illumina e proietta una croce sul mio torace. Scatta. Ritira la lastra.
“Buongiorno”.
Finalmente. Comincia il percorso che mi porterà al trapianto di cellule staminali. Il sole splende alto e limpido. Il calore invade la stanza al quarto piano del DIMER, reparto di ematologia. Il sole, il calore. Segnali di buon auspicio. Sono teso e carico allo stesso tempo. Riconosco la sensazione. Risale, come una reminiscenza, da un passato che stava sbiadendo. L’emozione che si prendeva possesso di me nei tornei di judo. Prima del primo combattimento. Vuoto nello stomaco. Formicolio sotto la cute. L’ansia di voler combattere subito per sgombrare la mente dall’incertezza: “sarò all’altezza della sfida anche questa volta?” Quell’emozione mi rendeva più vigile. I sensi più acuti. Come allora capisco: sono pronto alla sfida. Anche se è diversa, sono pronto. La posta è alta. In palio c’è una vita migliore. Al mio fianco, spettatore interessato che assiste passivamente, la morte. Il controllo ce l’ho io. Per adesso.
Lo scopo del ricovero è la mobilizzazione delle cellule staminali.Devo produrne in quantità e qualità sufficiente per il trapianto. Mi verrà somministrata della chemio endovena attraverso un accesso venoso nella succlavia, sotto la clavicola. Una vena robusta tanto da sopportare alte dosi di chemioterapico. Succlavia che ospiterà un catetere lungo circa 20 cm.
Gli anestesisti sono stati efficienti. In un quarto d’ora hanno posizionato il catetere. Poche chiacchiere, molta azione. Perfettamente coordinati, i tre medici si sono materializzati senza che me ne accorgessi. Mentre il capo anestesista mi spiega la procedura, un collega sistema una sedia sotto il letto dalla parte dei piedi per mandare il sangue dalle gambe al tronco. Intanto il terzo medico mi depila il petto sinistro. Due punture di lidocaina per anestetizzare la zona sotto la clavicola. Una piccola pressione. È il bisturi che si apre la strada fino alla succlavia. Un movimento fluido sopra la spalla sinistra. Deve essere il catetere che entra in sede. Due punti di sutura. Rapida medicazione. E i tre anestesisti svaniscono. Sono pronto per la chemioterapia.
Il rumore di ruote schiacciate da qualcosa di pesante anticipa l’entrata dell’apparecchio portatile per i raggi X. Il tecnico scatta la lastra sul petto, un classico di ogni primo giorno di ricovero, e mi saluta trascinandosi dietro il pesante aggeggio.
“Buongiorno a lei”. Rispondo al saluto del tecnico, mentre esce dopo la seconda lastra. E mentre si allontana rumorosamente rimango sdraiato a provare i movimenti della spalla sinistra. L’effetto dell’anestetico sta passando e sta liberando il pettorale dal torpore.
Mentre ascolto il risveglio del muscolo una domanda prende possesso dei miei pensieri: “perché due lastre?”.
“Due lastre. Perché?”. In un attimo da domanda diventa una fissazione. “Perché? Cosa deve essere ben alloggiato? Ovviamente il catetere. Ma è un tubo in un altro tubo. Non ha senso”. Apro Il Signore degli Anelli in cerca di un appiglio che mi distolga. Ma la fissazione diventa quasi un’ossessione: “perché due lastre? Cazzo!”. Mi siedo sul letto. “Perché?”. Poi, un’improvvisa botta di consapevolezza. “Il catetere venoso centrale lungo una spanna circa… deve essere ben alloggiato… non è possibile…”.
“Scusa – domando all’infermiera che è appena entrata in camera – non è che il catetere venoso centrale entra nel cuore?”.
“Certamente… “, mi risponde serafica mentre continua a somministrare la terapia al mio compagno di stanza.
“Oh cazzo, mi hanno messo un tubo nel cuore”. E mentre lo penso, la stanza comincia a girare. Faccio due respiri profondi. La stanza si ferma. Tutto sotto controllo.
(Aprile, 1999)
