IL TENTATIVO DI EVASIONE DEL SIGNOR CORSARO

PRIMA LEGGI: STORIE DEL DIMER (EP 1)… Il signor Corsaro (parte 4)

“Fermo! Dove va? Torni indietro! … Torni indietro subito!”.

Saranno le 21. Non lo so. Ho messo l’orologio nel cassetto del comodino perché oggi mi hanno cambiato l’abocat, la cannula che rimane in vena tra i 2 e i 3 giorni. E me l’hanno messa sul polso sinistro. Il richiamo dell’infermiera mi distoglie dal libro. “10 a 1 che è il signor Corsaro”, penso tra me e me.

“Non può uscire!”, continua a strillare l’infermiera mentre distinguo nitidamente i passi di altre due infermiere che corrono lungo il corridoio per raggiungerla.

“Signor Corsaro! Non può uscire …”.
“Eccolo…”, penso mentre giro la pagina.
“Venga con noi signor Corsaro”.
“No, non posso, devo andare”, risponde con la sua consueta signorilità.
“Non può andare, deve rimanere in camera”.
“No, devo andare! Devo andare a Ivrea, a casa”.
“Ma no, non può … magari domani”.
“No! Adesso! Oggi!”.
Il confronto comincia a essere concitato. Tre infermiere che cercano di convincerlo a restare. Il signor Corsaro che cerca insistentemente di avviarsi verso la porta in fondo al reparto. Il dialogo tra sordi continua per alcuni minuti. “Non può andare” contro “devo andare”. Stallo. Fino a quando il signor Corsaro spariglia.

“Devo prendere il treno”.

“Non ci sono treni quì”, rispondono in coro le tre infermiere.
Nuovo stallo. Che continua per pochi minuti.
Cominciano a darmi su i nervi. Appoggio il libro. Mi alzo. Raggiungo il capannello. Il signor Corsaro che svetta dalle infermiere che lo circondano. Una di loro mi guarda: “Ricky, lascia stare. Ci pensiamo noi”. Mentre un’altra annuncia: “ora lo sedo”, staccandosi dal drappello. La afferro delicatamente e la trattengo, offrendole un’espressione rassicurante.

Attiro l’attenzione del signor Corsaro. “Buonasera”, esordisco affabile.

“Buonasera”, mi risponde sorpreso. Bene.
“Dove sta andando?”, gli domando facendogli intendere che non gli sto per imporre alcun divieto.
“A Ivrea, a casa”, mi risponde liberandosi da ogni tensione.
“Come ci va a quest’ora?”
“Ma in treno”, mi risponde enfatizzando l’ovvietà della risposta o l’inutilità della domanda.
“Già! Che domanda”. Gli do lenza.
E continuo: “il biglietto?”, gli domando a bruciopelo ma senza alterare il clima rilassato.
“Il biglietto?”. Il signor Corsaro mi guarda smarrito.
“Per salire sul treno”, spiego rasserenandolo.
“Non ce l’ho”, inizialmente rassegnato ma tendente al combattivo.
“Non si preoccupi. Ci penso io”. E, con discrezione, mi faccio scrivere “Ivrea” su un post-it da una delle tre infermiere. Che mi guardano confuse, senza capire cosa sta succedendo.
“Ecco, lo tenga. Adesso può prendere il treno. A proposito, il treno per Ivrea è in ritardo. La faccio accomodare in sala d’aspetto. Venga con me”.
E lo precedo nella nostra camera. Entro in bagno. Abbasso il coperchio del water.
“Ecco fatto. Si accomodi qui. Appena il treno arriva verrò personalmente a chiamarla”. Ed esco dal bagno inseguito da un “grazie” carico di entusiasmo.

Le infermiere mi stanno guardando piuttosto perplesse.

“E se ci riprova?” mi domanda una delle tre mal celando un’aria di sfida.
“Gli chiedo del Petrarca”, rispondo senza pensare.
Sono ancora più confuse: “cioè?”.
“Ve lo racconto quando verrò dimesso”, rispondo strizzando l’occhio.

Il signor Corsaro non si alzerà dal water per quasi un paio d’ore. Ogni volta che passo davanti alla porta del bagno mi guarda e mi domanda ansioso: “il treno?”. “Porta ritardo”.
(Giugno 1995, circa)

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