Lavorare rimanendo coerente al principio della trasparenza sulla mia malattia non è stato facile. Soprattutto i primi anni quando,volendo, avrei potuto nasconderla con estrema facilità. Ho preferito essere onesto sempre. Con il risultato che molti hanno creduto in me. Altrettanti non lo hanno fatto. Certamente ho perso delle opportunità perché il mio interlocutore del momento non aveva il coraggio di rischiare assumendo un disabile, seppur in quel momento impercettibilmente tale, o scegliendolo come consulente. Sicuramente ho rifiutato proposte che mi avrebbero consentito di lavorare e vivere più serenamente per coerenza a valori che ho sempre considerato superiori come l’amicizia e la mia dignità.
Negli anni ho incontrato persone straordinarie che mi hanno reputato all’altezza delle loro aspettative investendo in me, persone, spero poche, che mi hanno ignorato, persone, pochissime, che mi hanno ferito umanamente prima e professionalmente poi. Ho incontrato persone che hanno accettato la mia sfida professionale alla disabilità, altre che hanno cercato di approfittare della mia sfida facendosi trainare. Da me, un disabile.
Oggi che la mia disabilità è diventata più intrusiva continuo a lavorare con la stessa passione che aveva quel sognatore che si imbarcava per New York per cercare un’agenzia di pubblicità sulla quale fare la tesi di laurea: “Gestione strategica delle agenzie di pubblicità americane”. Passione, determinazione e convinzione che la disabilità non fosse un limite non sono cambiate. Se dovessi riassumere il mio atteggiamento sul lavoro lo farei attraverso questo breve dialogo con Ninfa, una carissima amica conosciuta, guarda caso, per lavoro.
Era una mattina di ottobre (2012). Ci stavamo salutando dopo una riunione dove avevamo parlato dei nostri progetti comuni.
“Cosa ti spinge ad andare avanti nonostante tutto questo?”, mi chiese con la sua solita schiettezza riferendosi alla CIDP, all’infarto, al Parkinson, ai pochi clienti, alla crisi economica dilagante.
“Tre cose Ninfa. Amo quello che faccio. Non so fare altro e altro non vorrei fare. Nel mio lavoro non ho ancora detto tutto quello che ho da dire”.