MIA SORELLA SI DISIMPEGNA MENTRE … (Parte 1)

PRIMA LEGGI: Famiglia
Il rumore della chiave nella toppa è inconfondibile. Gli stridii della serratura sono acuti e molesti. Scheggiano la quiete del dopo cena. Qualcuno sta aprendo per uscire.
“Ciaoo, vado”. È Marta. Il saluto è un pizzicotto. Mi trascina fuori dal documento che sto leggendo. Dalla mia postazione nel super attico caccio un urlo: “Marta! Dove stai andando?”
“Esco…”, risponde laconica, quasi ovvia.
“Ma… ma … aspetta!”. E intanto mi alzo. Mi precipito verso le scale appoggiandomi al tavolo per non cadere. Mi siedo sul primo gradino e continuo a precipitarmi giù per la rampa. Tutto sul sedere. Raggiungo il pianerottolo e la guardo. Marta è li, in piedi. Vagamente infastidita.
“Ma mi devi accompagnare dalla Zav, per la seduta di psicanalisi”. Da alcune settimane ho raddoppiato le sedute. La lotta con il persecutore sta diventando sempre più impegnativa. Alla seduta del martedì pomeriggio se ne è aggiunta una il giovedì alle 21:30. Marta si era resa subito disponibile ad accompagnarmi.
“Vabbè, vorrà dire che questa sera non vai …”, risponde con aria annoiata.
“Ma è per la mia salute, non vado mica a divertirmi…”.
Marta non risponde. Mi guarda come se fossi trasparente.
“E poi – continuo – avvisarmi? No?”.
” E … non ci ho pensato… Ciao”.
Il pianerottolo in legno, con la passatoia di moquette, mi sopporta per un lunghissimo minuto. Mi riprendo. Mi arrampico fino alla scrivania. E chiamo la Zav.
“A proposito di ieri sera…”. È l’una del giorno dopo. Sono sceso dal super attico per pranzare. Marta è sul divano a guardare la televisione. Cambio direzione. Appoggiandomi ai muri raggiungo la poltrona di pelle davanti al camino. Mi siedo sul bracciolo per fare meno fatica quando mi alzerò.
“A proposito di ieri sera…”, esordisco mentre cerco il punto di equilibrio sul bracciolo.
“Si, a proposito di ieri sera – Marta approfitta della mia pausa per continuare – perché non sposti anche l’altra seduta al pomeriggio così ci vai con il badante?”.
“Ma eravamo d’accordo che …”.
Marta mi interrompe un’altra volta. “Non ho tempo di portarti, ho da fare, ho la mia bambina…”.
“Ma se … meglio lasciare stare”. Ha giocato l’asso di denari. Giorgia. Puntualizzare che si tratta di una sera alla settimana sarebbe inutile. Sottolineare che passa le giornate a ciondolare inutilmente per la casa o al telefono sarebbe altrettanto inutile.
“Naturalmente vale anche per l’omeopata a Piacenza…”. È una domanda ovviamente retorica. Marta, altrettanto ovviamente, non risponde.
Nessun “mi dispiace”. Nessun “scusami”. Un solo generico “ho da fare”. Un’ipocrisia che nascondeva un banale e quanto mai ovvio “non me ne frega niente”. La separazione stava inaridendo Marta. E nonostante ne fossi consapevole, in me convivevano l’incredulità di fronte al rifiuto di mia sorella e la conferma della sua superficialità. Quella sera un pensiero incomincia a germogliare in un angolo oscuro della mia mente: dovrò imparare a cavarmela da solo. La mia famiglia non ci sarà.
Invece, la settimana successiva raccoglierò quello che ho seminato nella vita.
(1996-1998)

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