Il dolore è allucinante. Lancinante. La sensazione netta dello strappo. Del distacco. Anzi, dello sradicamento. Un dolore mai provato prima. Per di più improvviso. Talmente acuto e improvviso da mozzarmi il fiato. Per un istante vedo, come nella migliore tradizione, le stelle, tutte le galassie. Anzi, vedo il big bang. Una metafora più appropriata per descrivere la miscela dirompente di dolore e sorpresa. Dal profondo della mia gola sento partire l’urlo. Gli occhi spalancati. Gonfi. L’urlo arriva in bocca. È sul punto di esplodere. Ma viene soffocato dal panino meraviglioso che ho appena addentato.
Sono al bar di piazza Lodi durante la pausa pranzo di una tranquilla giornata di lavoro in MGD. Guendalina e io abbiamo deciso di concederci un pranzo frugale fuori dall’ufficio. Per rompere il ritmo. Per chiacchierare un po’. Da soli. Entrando ho ordinato un panino: pane francese, mozzarella di bufala e prosciutto crudo al coltello. Il prosciutto è straordinario. Entrando nel bar il suo profumo mi ha guidato fino al bancone. Era lì. Quasi ad aspettarmi. Rosso, dolce, la parte finale. La più saporita.
Il cameriere ha appena appoggiato i piatti sul tavolino. Guendalina prende il mio panino e sistema il tovagliolo. Lo stato attuale delle mani non mi permette di fare movimenti fini come sistemare un tovagliolo di carta. Ma un panino riesco ancora a gestirlo egregiamente. Basta che lo tenga con due mani. Lo afferro saldamente. Il pane è perfetto, leggermente tiepido. Portandolo verso la bocca pregusto il primo boccone. Lo morsicherò lentamente. E lentamente lo morsico. La crosta croccante si spezza. La mollica tiepida. La bufala fresca e morbida. Il prosciutto delicato e sottile. No. Non è sottile. Almeno una fetta deve essere piuttosto spessa. Tanto spessa da bloccare gli incisivi. E da interrompere lo stato di estasi culinaria nella quale mi stavo calando.
Istintivamente, rilasso leggermente i muscoli della mandibola e li contraggo con forza. Devo spezzare la resistenza della fetta di prosciutto. Un colpo secco mentre con le mani torco il panino verso sinistra. Per staccare tutto, subito. Voglio il boccone.
Il dolore è allucinante. Lancinante. La sensazione dello sradicamento. Ho provato tantissimo dolore in molte occasioni. Un dolore simile al dito e in assoluto non l’ho mai provato. Dito? Cosa ci fa l’indice della mia mano destra in bocca in insieme al panino? Perché non l’ho sentito al primo, leggero tentativo?
Guardo Guendalina che ha appena capito. E sta goffamente trattenendo una risata. Il risvolto comico prende il sopravvento. Allontanano il dito dai denti. Lo osservo attentamente mentre gusto il boccone. Rido. Mentre il dito mi osserva.
Il dito indice della mano destra. Quello che non mi permetteva di abbattere l’elicottero al gioco nelBaby Bar quando ancora non sapevo nulla della mia malattia. Quando tutto stava per incominciare. Metaforicamente mi sento come se lo avessi punito per le tante partite perse. Meno metaforicamente il dito mi ha richiamato: “non ti sembrerà grave – dice – ma se non mi senti quando stai per morsicarmi, non dimenticarti che la questione è seria”.
Tutti gli eventi nascondono un significato. Anche quelli più piccoli. Sta a noi saperlo cogliere. Il dito mi ha aveva appena richiamato all’ordine per la seconda volta.
(marzo 1992, circa)
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