Ogni tanto lo si incrocia nei corridoi della Bocconi. Non è molto alto. Anzi, è decisamente basso. Occhi chiari e gelidi. Volto rugoso. La calvizie che si fa largo. La bocca disegna un ghigno, un quasi-sorriso mai diverso. Passo lento e autoritario. Il dottor Grillo non cammina. Procede. Nel suo abito grigio. Il Loden appoggiato sulle spalle. Due assistenti ai lati. I suoi pretoriani. Così li abbiamo soprannominati. Il dottor Grillo dirige l’ISU ed è una potenza. La mitologia accademica lo racconta come uno sbrana studenti. Quando lo si incrocia nei corridoi si abbassa lo sguardo e ci si allontana rapidamente con un brivido di inquietudine come compagno di fuga.
Rientro dopo una giornata di studio in biblioteca.
“Riccardo, vieni su”. Papà mi chiama dal suo studio sull’attico.
Scatto. Arrivo. Ci salutiamo.
“Ha chiamato un certo Grillo della Bocconi, vuole vederti domani mattina. Mi ha chiesto come mai sei arrivato al quarto fuori corso e gli ho spiegato delle tue mani”.
Grillo che si preoccupa per gli studenti è roba da fantascienza. Sono curioso e inquieto.
E curioso con il brivido di inquietudine mi presento all’ISU. Entro in “punta di piedi”, come per rendermi invisibile. Mi presento. E mi fanno passare subito. Entro in una stanza piccola. Sobria. Arredamento austero stile “Mondo Office”. Gli scaffali di compensato bianco affollati da libri, faldoni e scatole. Grillo è seduto dietro la scrivania al telefono. Mi pianta gli occhi addosso e mi guida verso la poltroncina sotto la finestra. Mi siedo e aspetto.
Finita la telefonata, Grillo appoggia la cornetta con un gesto nervoso. Si volta verso di me e mi fissa a lungo. In silenzio. Il brivido mi attanaglia.
Poi parla.
“Ecco il grand’uomo. Quello che pensa di farcela da solo”.
Sono interdetto. Non poteva esserci esordio peggiore. Mi sta sfottendo e rimproverando. Il brivido arriva allo stomaco. Dopo una pausa Grillo si lancia.
“Io so cosa pensate voi stronzi di me. Che sono qui per rompervi i coglioni, quasi per il gusto di farlo. Io ho dedicato la vita a questa università. Mi sono laureato quì e non me ne sono più andato. Cazzo. Io sono qui per voi coglioni. A Natale, se uno stronzo come te aveva bisogno di me per risolvere un problema, entrava da quella cazzo di porta e mi trovava su questa cazzo di poltrona”.
La tensione si sta sciogliendo. Grillo sta trasudando passione.
“Lavoro tutto il giorno come uno stronzo per voi coglioni – continua Grillo, sempre più infervorato – E quando ho un momento di pausa sai cosa faccio? Metto una mano in quella scatola e tiro fuori una scheda di un deficiente fuori corso. Sai cosa faccio dopo? Gli rompo i coglioni. Lo metto in croce perché devo capire perché è fuori corso. Ieri mi è capitata la tua scheda e mi sono detto di romperti i coglioni. La prima cosa che faccio sempre è avvisare casa perché nella stragrande maggioranza dei casi i vostri genitori non sanno a che punto siete. Ho cercato tuo padre che mi ha spiegato della tua salute e delle tue mani e che fai fatica a scrivere. E del problema dello scritto di programmazione e controllo. Bene, il fatto è semplice. Fai fatica a scrivere. Non fai lo scritto”.
“Guardi che non voglio trattamenti di riguardo. Mi basta avere mezz’ora in più”.
“Lo vedi che sei proprio coglione. Se fai fatica a scrivere, non fai lo scritto. E basta”.
La decisione è perentoria. Grillo si allunga verso il telefono per chiamare il capo dell’istituto di programmazione e controllo. Si sono laureati insieme. Pochi convenevoli e poi dritto al punto.
“… senti, c’è uno studente che ha un grave problema. Non può dare gli esami scritti, un caso umano. Te lo mando subito lì che ti spiega. Aiutiamolo”.
Sul “caso umano” avevo azzardato un “non esageriamo” che Grillo aveva liquidato alzando gli occhi al cielo e pensando a quanto fossi coglione.
“Bene, questo è sistemato. Poi cosa devi dare?”
“Matematica”.
” Passa l’orale di programmazione e controllo e torna da me”.
Mi accompagna alla porta e mi saluta con un incoraggiante “non fare il pirla”.
Venti giorni dopo passo l’esame di programmazione e controllo. Sono felice con un retrogusto leggermente amaro. Ho conosciuto un uomo straordinario per la sua passione incondizionata per i “suoi” studenti. Ho constatato con amarezza quanto i pregiudizi possono impoverirci. Da quel giorno, ogni volta che ho potuto, ho cercato di raccontare la bellezza di quell’uomo con il loden che ogni tanto si incrocia nei corridoi della Bocconi. E che il ghigno è un sorriso di compiacimento perché sta camminando tra i “suoi” studenti.
(1990)