Si, ho fatto anche questo. Mi sono fatto esorcizzare. Non perché ci creda. Il mio rapporto con Dio in quel periodo era sostanzialmente nullo. Non ci credevo. E non per colpa della CIDP. Ho accettato di farmi esorcizzare per non sentire più la mamma insistere.
“Monsignor Milingo sarà ad Arluno tra due settimane…”. Mamma la butta lì. Distrattamente. Come se aprendo la bocca fosse cascata fuori inavvertitamente.
“E chi è?”. Rispondo tanto per fare conversazione.
“È un vescovo. Una delle pochissime persone autorizzate dal Vaticano a compiere esorcismi…”.
Capisco al volo. “Dai mamma, non vorrai mica che…”.
“Perché no? Cosa ti costa?”
“Niente… Non mi piacciono queste cose, lo sai…”.
“Ma fallo, non ti costa niente. Almeno ci togliamo lo scrupolo. Escludiamo questa eventualità”. L’eventualità del malocchio. Dell’essere posseduto.
La pressione della mamma diventa ogni giorno più forte. Si è fissata. Non smetterà. Anche se dovessi scampare questo giro, Milingo tornerà. E mamma ricomincerà a premere. Meglio cedere. Levarmi il pensiero al punto che voglio essere uno dei primi. Zia Tere, la sorella maggiore della mamma, mi spiega il meccanismo. Monsignor Milingo riceve in un capannone alla periferia di Arluno. La mattina presto i suoi assistenti distribuiscono da dietro il cancello i biglietti numerati ai fedeli. Gli esorcismi iniziano verso la tarda mattinata.
Alle undici di notte guido la macchina lentamente lungo la strada sterrata che porta dalla comunale al capannone. Non c’è in giro nessuno. Sono il primo. Scendo. Mi avvicino al capannone immerso nel buio. Mi fermo davanti al cancello delle auto. Sulla destra il cancelletto per le persone. È coperto da una piccola struttura in cemento dalla quale penzola una lampadina che emana una luce fioca. Un brivido lungo la schiena completa lo scenario inquietante. Risalgo in auto e parcheggio sul lato della strada bianca a una decina di metri dal cancello. Mi chiudo nel cappotto e mi addormento.
Passi. Fanno scricchiolare la ghiaia. Lontani. Poi più vicini. Controllo che le portiere siano ben chiuse. Non si sa mai. Lo specchietto retrovisore mi rivela due persone anziane. Si avvicinano al cancelletto. Si inginocchiano. Reclinano il capo in avanti. Dopo pochi secondi si alzano e se ne vanno. Non ho mai visto tanta devozione. Riverire il luogo dove verranno esorcizzati. Il passaggio che li porterà verso la benedizione. Mezzanotte è passata da un po’. Stringo la sciarpa e mi riaddormento.
Ancora passi. Sono quasi le due. Due coppie poco distanti l’una dall’altra passano oltre la mia Nissan Micra nera. Si inginocchiano pochi secondi davanti al cancelletto. Si alzano e si allontanano. Quanta devozione…
La processione continua tutta la notte. Alle prime luci dell’alba mi sveglio e vedo una specie di coda di fedeli in attesa di inginocchiarsi di fronte al cancelletto. Degli assistenti di Milingo ancora nessuna traccia. Qualcosa non torna. Scendo dall’auto e mi avvicino al cancelletto. “No! Cazzo! Porca miseria!”. Le imprecazioni rimangono nei pensieri. Sono incazzatissimo. Altro che devozione. Si inginocchiavano per prendere il numerino nascosto sotto una piastrella. Sono uno degli ultimi!
Mamma e io varchiamo finalmente la soglia del cancelletto. Sono le cinque del pomeriggio quando entriamo nel capannone. Trasformato in chiesa per l’occasione è stracolmo. Aspetto il mio turno. Mi chiamano. E con me chiamano una ventina di persone. Entriamo in una stanza sul retro del capannone. Milingo ci sta aspettando con due assistenti ai lati piantati come due giocatori di rugby. Esorcismo di massa. Milingo pronuncia il rito. Dall’altra parte della stanza, seduto su una panchina, un transessuale accenna reazioni da esorcizzato. Voce profondissima, parole incomprensibili, leggeri tremori, un accenno di schiuma alla bocca. Nulla di che. Sembra stia recitando. Guardo la mamma piuttosto perplesso. Terminato il rito gli assistenti raccolgono le offerte libere.
Nulla di fatto. La mano destra continua ad essere una quasi-appendice. Mamma si è tolta lo scrupolo.
(1993, circa)