MARTA: IL MATRIMONIO

“Vai subito a dire qualcosa a tua sorella. Fatti dire cosa ha combinato e dille qualcosa”. Mamma ci aveva cresciuti con le urla. E le sue erano proverbiali. Acute. Nitide. Assordanti. Quando eravamo piccoli la sola minaccia di urlare era sufficiente a ricondurci all’ordine.

Questa sera le urla sono accompagnate da frustrazione e disperazione che le contorcono i lineamenti. Gli occhi sono stanchi. Della stanchezza di chi è stato per anni sulle barricate e ha appena imparato che deve sopportare un altro peso.

“Vai da tua sorella”. L’urlo della mamma si deforma in uno strillo stridulo.
“Mamma…”.
“Vai!”. Il tono è imperativo. Come quando avevo dieci anni. A dieci anni scattavo. A trenta sorrido. Sorrido rassicurante. “Ora vado, ma fammi entrare”. Sono appena rientrato dall’ufficio. La giornata è stata estenuante. Varco la soglia ed entro nello spogliatoio. Mi levo i guanti lentamente. Il cappotto. La sciarpa. La giacca. La cravatta. Tutto lentamente. Volutamente. Prendo tempo per riflettere. Il mio rapporto con Marta è migliore di quello con Alessandro, complice il fatto che negli ultimi anni, tra gli studi a New York e il trasferimento a Sarnico da Paolo, ha vissuto in famiglia poco tempo. Non che con lei non ci fossero conflitti. Anzi. Erano meno frequenti. Più aspri. Ma tutto sommato riuscivano a dialogare.

La mamma sta aspettando sulla porta dello spogliatoio. Appena mi volto sibila un ennesimo “vai”. Le prendo l’avambraccio e la trascino gentilmente verso il salone. Marta è seduta in mezzo al divano sulla punta del cuscino. Del suo metro e 78 cm non c’è nulla. Le spalle basse e stanche. La testa abbassata. Tutto la rende piccola. C’è anche la zia Tere. Seduta alla destra di Marta le tiene delicatamente la mano tra le sue. Saluto cercando di dare al mio “ciao” un tono che affermi la mia indipendenza. Il ciao di Marta è vuoto. È esausta.
Senza preavviso devio verso la cucina continuando a trascinarmi dietro la mamma. Chiudo la porta dell’anticamera. Chiudo la porta della cucina.

“Vai da lei e…”, riprende la mamma. La interrompo bruscamente. Pianto i miei occhi nei suoi. Allungo la testa verso la sua. E sottovoce incomincio.
“Dimmi quello che è successo. Se non me lo dici vado di là, saluto, accendo la televisione e non rivolgo la parola a nessuno… Prima che tu dica qualsiasi cosa sappi che dirò quello che penso io, non quello che tu vorresti che dicessi. È chiaro?”
Mamma fa una lunga pausa. Poi, con un solo fiato, lancia il carico.
“È incinta non vuole abortire vuole sposare quello là io non voglio che abbia un figlio da quello là e che sposi quello là”.
Mamma non aveva mai sopportato Paolo, quello là. E non aveva torto.

Ha ancora la testa bassa. Gli occhi rivolti verso l’alto mi osservano timorosi mentre mi avvicino al divano. Mi siedo alla sua sinistra. E le appoggio la mano sul ginocchio.

“Ho saputo tutto”. Sussurro. Sono calmo e desidero che Marta se ne accorga bene. “Come stai?”.
“Così”. La voce flebile flebile. Gli occhi che fissano le ginocchia.
“Sei sicura di volerlo tenere?”
“Si”. La voce è più piena.
“Sei sicura di voler sposare Paolo?”
“Si”. Il viso che lentamente si rivolge verso il mio.
Sospiro. “Senti Marta, ascoltami bene. Io non sono nessuno per dirti cosa devi o non devi fare in una situazione come questa. Quindi non ti dirò niente. Ti chiedo solo una cosa. Pensa attentamente a quello che fai, alle conseguenze delle decisioni che stai per prendere perché segneranno tutta la tua vita. Pesa bene Paolo. Conosci i suoi pregi, ricordati dei suoi difetti. Ricordati anche che qualsiasi decisione prenderai sarò al tuo fianco”.

 Sperare che non sposi Paolo è pura utopia. Tanto meno con un figlio in arrivo. Mettermi di traverso come la mamma, vuol dire consegnare Marta a Paolo tagliando i ponti. Vuol dire abbandonarla e consegnarla a Paolo definitivamente. Allora ho pensato ad una famiglia normale. A come avrebbe affrontato questo momento. E ho pensato che una famiglia normale avrebbe sperato che Paolo cambiasse lasciando a Marta un ponte solido per tornare se fosse andata male. Una famiglia normale avrebbe sofferto ma vigilato. Da lontano. E poi mamma stava per diventare nonna. Non avrebbe resistito lontano dal suo primo nipote. Le stavo risparmiando la fatica di ricucire lo strappo. Starò al fianco di Marta.
Marta non mi risponde. O non mi ricordo che l’abbia fatto. Non mi dirà mai se ci ha pensato e cosa ha pensato. Non era tenuta a farlo. Sposerà Paolo. Darà alla luce Giorgia, una bambina straordinaria. Paolo non cambierà. E il matrimonio finisce. Alla fine mamma aveva ragione. Ma nessuno ha mai detto a Marta il fatidico: “te l’avevo detto”.
(1995, circa)

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