Prima leggi: L’INCUBO: CACCIAALL’AGGRESSORE SENZA VOLTO (parte 1)
L’erba è morbida e fresca. Di un verde talmente intenso da sembrare artificiale. Mi accarezza i piedi mentre attraverso il prato scalzo. Il cielo è degno della migliore giornata estiva. Azzurro. La brezza soffia leggera. Gli odori della natura inebriano. Tutto invita alla lentezza, a godere di un momento irripetibile. Rallento e mi siedo per terra. Gli occhi si riempiono di bellezza.
Dal boschetto poco lontano si affaccia un uomo. Ha un momento di esitazione. Mi osserva, quasi ad accertarsi che sia io. Poi si avvia verso di me. Attraversa il prato morbido e fresco. La camminata rilassata. Cerco di distinguerlo meglio. Camicia bianca. Pantaloni beige larghi. Nulla più. Il sole basso sull’orizzonte dietro di lui mi abbaglia. Pazienza, aspetto. Mi ha raggiunto. Alzo lo sguardo verso il viso incorniciato dalla palla di fuoco che sta tramontando. Lo riconosco. E nello stesso istante mi aggredisce con veemenza. Il nulla grigio al posto del viso è di fronte ai miei occhi, seduto sul mio bacino. Mi colpisce ripetutamente mentre l’erba morbida e fresca, il cielo, la brezza e gli odori si dissolvono nella mia camera da letto. L’aggressore continua a colpirmi. Il terrore mi taglia il fiato. Le braccia trattenute da elastici immaginari mi impediscono qualsiasi difesa. Urlo suoni sordi in cerca d’aiuto. La porta della camera rimane chiusa. Nessuno verrà ad aiutarmi.
La sera stessa racconto l’incubo alla Zav. E continuiamo a scavare. Comincio razionalizzando. L’aggressore ha intensificato gli attacchi perché mi stavo avvicinando a lui. Tentava di allontanarmi. Farmi desistere. Fallendo, ha cambiato tattica. Agli attacchi diretti ha sostituito la guerriglia. Almeno, io agirei così. Mentre razionalizzo ascolto le mie reazioni. La sensazione di fastidio, di rifiuto, di fuga dalla poltrona si fanno sempre più intensi. Sono sempre sulla strada giusta. Allora anch’io cambio tattica. Non combatto più la spinta ad eludere la ricerca. La ignoro. Semplicemente. Dopo mesi di caccia all’identità dell’aggressore, improvvisamente libero dallo sforzo di arginare gli inviti ad abbandonare l’inseguimento, le tessere dell’enigma scivolano ognuna al proprio posto. Naturalmente.
L’aggressore si palesa quando la psicanalisi si fa impegnativa. La CIDP è autoimmune. I miei anticorpi che mi attaccano. Il cambio di tattica dell’aggressore che avrei fatto anch’io. Lo accetto mentre ne prendo coscienza. Sono io. Io sono l’aggressore. L’aggressore è l’espressione di una parte della mia anima. Una parte che non avrei mai pensato di avere. Quella autodistruttiva.
Dopo quella seduta lo chiamerò “il persecutore”. Dopo quella seduta il persecutore si allontana a lungo. Messo allo scoperto è costretto a riorganizzarsi. Lo aspetterò. So che tornerà. So quando tornerà. Tornerà nei momenti di debolezza.
(1996, circa)