Analisi del sangue, elettromiografia, puntura lombare. Sono gli esami principali del primo ricovero al Besta. L’acronimo CIDP non era ancora stato inventato. E la diagnosi era radicolo nevrite periferica a carattere infiammatorio ai quattro arti oppure polineuropatia periferica infiammatoria. Oppure una combinazione delle due. In pratica la malattia veniva definita con la descrizione dei sintomi. Un segnale di resa, in quel periodo, di fronte alla causa e alla sostanza della malattia. E la terapia non era da meno: il cortisone. Il farmaco per tutte le stagioni. Un antiinfiammatorio per l’infiammazione al mio sistema nervoso.
Il cortisone comporta due problemi: una serie interminabile di effetti collaterali e l’assuefazione. Perché continui ad essere efficace va somministrato in dosi crescenti con un inevitabile ripercussione sulla pesantezza degli effetti collaterali. Osteoporosi, azzeramento del potassio (il mattone dei muscoli), ritenzione idrica, acidità di stomaco, problemi alle reni. Reagisco alla terapia. I sintomi della radicolo nevrite arretrano. Mentre avanzano gli effetti collaterali. In incognito, perché nessuno me li racconta. Dopo due anni il dosaggio è altissimo. L’effetto sui sintomi minimo.
Per caso, parlando con un’amica, mi viene in mente di capire meglio il farmaco che mi sta lentamente lasciando per strada. E scopro gli effetti collaterali. Il dosaggio che mi stanno somministrando mi espone seriamente al rischio di osteoporosi. Rido. Pochi giorni prima ho fatto una visita di controllo. Il primario mi ha dato l’ok per l’inverno sciistico. Grottesco. Grottesco nella misura in cui mi sento mandato allo sbaraglio. Grottesco perché sto distruggendo il mio corpo per salvare il sistema nervoso. Grottesco perché mi rendo conto di quanto il medico tratti il paziente con sufficienza. Grottesco perché il primario è lo zio della mia fidanzata. È il momento in cui decido di assumere il controllo. La prima decisione: lasciare la medicina tradizionale. E affidarmi all’agopuntura.