Archivi categoria: L’amicizia

MARCONE

“Ciao Marcone”.
“Ciao Ricky”. La testa di Marco si piega verso destra. Un classico. Il suo gesto rassicurante che tradisce serenità.
Sono passati dodici anni. Dodici anni di silenzio. Un silenzio ostinato e assoluto. Ci sorridiamo e ci abbracciamo. Ci salutiamo con semplicità. Quella che accompagna le amicizie più grandi. L’espressione della forza del legame che abbiamo costruito giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. E che ha resistito intatto a più di dodici anni di latitanza.
È una sera di luglio. Stepan spinge la seggiola a rotelle ne “Le petit jardin”, allora ristorante di Marco. I nostri sguardi si incrociano. Come per incanto, l’amicizia si risveglia. Si scuote dal torpore del lungo letargo. Si libera agilmente della polvere accumulata negli anni. E ricomincia a segnare il tempo. Dopo dodici anni è ancora tutto intatto. Nessuna crepa. Nessuna smagliatura. Lì, davanti alla cassa de “Le petit jardin” dodici anni sono passati in un lampo. Potevano essere dodici giorni o dodici minuti.
“Ricky, siediti dove vuoi. Finisco una cosa e arrivo…”. Come ai tempi della Ringhiera, il suo primo locale. La birreria che ancora oggi accoglie i milanesi sull’Alzaia Naviglio Grande. Il luogo che per alcuni anni è stato il centro della mia vita.
Chiacchiero con Stepan. Marco passa. Una volta, due volte. Una volta, due volte mi stringe delicatamente una spalla. “Ci sono, Ricky. Ci sono”. Le parole sono superflue. La stretta eloquente. Marco c’è. C’era sempre. Per tutti. Per chi aveva un problema o bisogno di un favore, Marco era una certezza. C’era sempre. Generosamente.
La generosità è il tratto di Marco. E generoso lo è stato un’altra volta. Dodici anni di ostracismo senza ricevere una spiegazione danno a chiunque il diritto a un perché. Anche a muso duro. Marco no. Marco ha accolto ogni passo del mio riavvicinamento. L’amicizia su Facebook. Lo scambio di messaggi. La cena al “Le petit jardin”.
Fuori dalla porta del ristorante, distante poche centinaia di metri da casa, raccolgo i pensieri. Ordino i ricordi. Ed entro pronto ad accettare qualsiasi reazione. Anche il suo saluto severo. Quello accompagnato dall’espressione corrugata e arcigna. Il preludio di una richiesta di chiarimento. Come accadeva in passato. Invece Marco mi ha accolto piegando la testa verso destra. Generosamente.
Rivedere Marco è tra le cose migliori che ho fatto. Riabbracciarlo è stato come tornare a casa dopo tanti anni.
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C’è sempre un detonatore che provoca un’azione. Una specie di catalizzatore che amalgama ricordi, emozioni, racconti e novità facilitando una reazione. Il catalizzatore dell’incontro con Marco è stato Febo. Un catalizzatore estremamente discreto. Quando ci incontravamo buttava lì un ricordo dei tempi della “Ringhiera”, una vecchia battuta di Marco. Oppure che aveva visto Marco. Che Marco aveva rilevato un ristorante poco lontano da casa mia. Sempre distrattamente. Una distrazione calcolata. Forse. Comunque provocando una reazione meravigliosa.
Grazie Febo.
(Luglio 2013)

ROMANA ENTRA IN STRIKE

Prima leggi: ROMANA

“Romana, è giunto il momento”. A decidere ci ho messo poco.
L’idea sulla quale Strike era nata era innovativa, geniale. La visione che la sosteneva immaginava già il Web 2.0 accessibile da telefoni cellulari. L’obiettivo era fornire un servizio di informazione contemporaneamente agli esercizi commerciali e ai consumatori. Bacheche informative sarebbero state installate in luoghi ad alto passaggio. Il perimetro della bacheca era dedicato a spazi pubblicitari a disposizione degli esercizi commerciali della zona. I negozi inserzionisti sarebbero entrati in un database che comprendeva le referenze in vendita. Il database sarebbe stato accessibile attraverso un sito consultabile da telefoni cellulari di una generazione forse ancora da pensare. Infine, un sistema di localizzazione avrebbe segnalato ai consumatori i negozi della zona con il prodotto che stavano cercando. Era solo il 1995. E insieme all’idea, scoprivo il talento di mio fratello che l’aveva pensata.
Ale e io eravamo ancora in una fase della nostra vita in cui lo strato di cenere sotto il quale giacevano le ragioni dei nostri problemi era troppo sottile. Lavorare insieme, discutere dell’organizzazione dei processi, confrontarsi, è stato come soffiare sulle braci. I conflitti divampano. Prima sulla gestione dell’azienda. Subito dopo rinfacciandoci il passato.
Il bivio si stende di fronte a me invitandomi a prendere una strada. La tensione con Ale cresce esponenzialmente. Ogni giorno. O chiudo la società. O faccio rilevare a Romana le quote di mio fratello. Scelgo il secondo sentiero. Salvo l’avviamento di Strike e, nonostante mi fossi impegnato a far rientrare Ale nell’asse societario quando saremmo riusciti a convivere lavorando, perdo mio fratello.
L’entrata di Romana cambia la natura di Strike. Il progetto delle bacheche viene abbandonato. E Strike diventa una società di consulenza in marketing e comunicazione.
(1997, circa)

ROMANA

Prima leggi: “TI PORTO IN VACANZA” – PAROS

Era tutto organizzato. Già da Paros. Fabri, Dani, Federica, Andrea, Gaia e Barbara, che avevamo conosciuto un pomeriggio a Pounda Beach, se ne erano convinti quasi subito. Ugo e Romana erano fatti l’uno per l’altra. Quella sera, entrando nel ristorante della discoteca a Milano, Ugo e io non sapevamo che la cena era stata combinata per farli incontrare. L’avremmo scoperto anni dopo.
Minuta, sorridente, pacata e vivace allo stesso tempo, gli occhi di Romana sono lo specchio trasparente della sua personalità. Determinata, di buon senso e, soprattutto, paziente. Poche settimane dopo la cena la storia di Romana e Ugo si avviava lungo sentiero tortuoso che continua ancora oggi. Romana e io diventiamo presto amici. Leali, trasparenti e solidali.
Un paio d’anni dopo, alla vigilia della laurea in giurisprudenza, Romana mi chiama. Mi deve parlare. Ci riserviamo poche sere dopo. “Ricky, tra un po’ mi laureo in giurisprudenza. Voglia di fare l’avvocato non ne ho. Però sto imparando in fretta a organizzare eventi. Perché non costituiamo una società di comunicazione, prima o poi. Io ho i contatti, tu hai le competenze”.
La proposta mi sorprende e passiamo tutta la sera ad approfondire il progetto. A prescindere dalle idee ho la sensazione che con Romana potremmo costruire qualcosa di bello e interessante: “Romana, prima o poi la costituiremo”.
(Settembre, 1992)

LAVARMI I DENTI

“Cazzo…”. Incomincio a perdere la pazienza. È il quarto tentativo. Fallito. Come i precedenti. Tutte le volte lo spazzolino da denti è caduto sul fianco. Urtato dal tubetto del dentifricio.

Da alcuni mesi le mani hanno ripreso ad indebolirsi. Tanto da non consentirmi di tenere in mano oggetti come una penna, una posata, lo spazzolino da denti. Un’operazione banale come spremere il tubetto del dentifricio con la mano destra sulle setole dello spazzolino che tengo con la mano sinistra è diventata impossibile mesi fa. La soluzione è stata semplice. Intuitiva. Prima appoggio lo spazzolino sul lavandino. Poi afferro il tubetto del dentifricio con due mani. Avvicino la bocca del tubetto alle setole. Spremo la pasta schiacciando il tubetto tra le mani. Poi passo allo spazzolino. Lo afferro, sempre con due mani. Lo infilo in bocca. E, ancora con due mani, spazzolo i denti. L’operazione è meno complessa di quanto sembra. Il risultato finale decente.
Stamattina non ci riesco. Non riesco a controllare il movimento delle braccia. Avvicino la bocca del tubetto allo spazzolino e, un attimo prima di spremere la pasta, urto le setole. Lo spazzolino cade sul fianco. E ricomincio. Sono nel bagno dell’appartamento numero quattro di Villa Manos a Naoussa. Isola di Paros. Ugo è in piedi alla mia destra. Si sta già lavando i denti. Con la coda dell’occhio mi scruta senza intervenire. Se non riesco a controllare le braccia dovrò chiedergli di intervenire. Ugo lo sa ma aspetta. Giustamente.
Quinto tentativo. Fallito. Osservo lo spazzolino appoggiato sul suo fianco sinistro. La frustrazione monta. Mi guardo allo specchio. Sto per cedere e chiedere aiuto a Ugo. Un’occhiata al tubetto. Sospiro rassegnato. Poi, un lampo. Guardo le setole pigramente adagiate sul bordo del lavandino con aria di rivalsa. Infilo il tubetto in bocca. Spremo il dentifricio. Afferro lo spazzolino con due mani. Lo infilo in bocca. E spazzolo vigorosamente per quanto la CIDP mi consente. Trionfo!
Ugo è sorpreso e divertito. “Cazzo! Grande!… Volevo proprio vedere come te la saresti cavata! Non ci sarei mai arrivato”.
(Quando Ronan mi intervista per il rinnovo della consulenza in Dow Jones Markets Italia mi chiede della mia attitudine al problem solving. La mia attitudine? Quella che ha risolto il problema di lavarmi i denti).
(Luglio, 1992)

"TI PORTO IN VACANZA" – PAROS

“Quest’estate ti porto in vacanza. Andiamo a Paros”. L’espressione irremovibile di chi ha preso una decisione irrevocabile. “Non puoi continuare a passare le estati a Milano… E non mi rompere i coglioni con il fatto che non riesci a vestirti, ti aiuto io”. Gli occhi di Ugo sono piantati nei miei, pronti ad aggredire la minima contestazione. Che non mi azzardo a pronunciare.

Un gesto di straordinaria generosità che va oltre l’amicizia. Per come concepisco i rapporti tra le persone il gesto trascende lo spazio e il tempo. Anche perché la generosità di Ugo è totale. Ha scelto Paros, l’isola dove ho passato le estati più belle. L’isola dove ho passato così tanto tempo sul windsurf da arrivare sfinito a fine giornata. L’isola dove ho trovato amici greci indimenticabili. Paros non tradisce neanche questa volta.
Partiamo in quattro: Ugo, Marcone, Andrea e io. E tra gli alti e bassi delle convivenze forzate passo un’estate indimenticabile. Ugo passa la sua estate più bella di sempre senza sapere che grazie a Paros, dopo poche settimane dal rientro a Milano, incontrerà Romana. Per me quell’estate a Paros oggi significa Fabri e Dani.
(Luglio 1992)

UGO, L’AMICIZIA VOLUTA E STUDIARE FINANZA AL BESTA.

Prima leggi: Ricky non si devestancare.

“Perché non sei mio amico, come sei amico di Albert?”. La domanda improvvisa è accompagnata da un pesante carico di frustrazione.

Sono prigioniero della risposta. Non posso voltarmi e andare come vorrei fare. La domanda è detestabile. Chiunque me la rivolga. Le amicizie crescono naturalmente. Non si pianificano a tavolino. Ugo ha scelto il momento giusto. La risalita in seggiovia, quella più lunga.
“Guarda Ugo. Albert ed io siamo amici perché lo siamo diventati, non perché l’abbiamo programmato. Se noi diventeremo amici lo saremo in modo diverso, cerca di capire questo semplice fatto. Comunque non so se lo diventeremo, ce lo dirà il tempo. E a prescindere da tutto la tua domanda è contraria a qualsiasi mia idea di amicizia”. Restituisco la frustrazione che è prossima all’incazzatura per il pensiero di essere stato intrappolato.

Ugo ha voluto che diventassimo amici. Con una determinazione prossima alla testardaggine. La CIDP non lo ha frenato. Più la malattia progrediva, più Ugo era presente. Spesso in modo inaspettato. Come quando aveva passato l’intero fine settimana al DIMER inoccasione del ricovero d’urgenza. E per molti anni è stato un punto di riferimento.
Il primo ricovero ha avuto quasi la dimensione di un happening. Il pomeriggio il bar della Bocconi si trasferiva nella sala ricevimento del reparto di neurologia al primo piano. Sentirmi solo e abbandonato alle incognite di una malattia ignota era impossibile. Arrivavano le “squadre” della scopa d’assi, i compagni delle discussioni sulla assurdo. Il pomeriggio mi sentivo l’ospite di una festa, con l’obbligo di intrattenere tutti. Un lavoro. Un lavoro bellissimo.
I passi nel corridoio hanno un che di familiare. Non può essere Ugo, mancano due ore al ricevimento. Invece, un istante dopo, la sua sagoma riempie la porta della camera. Senza entrare mi fa cenno di seguirlo. Entro in sala di ricevimento. È deserta, silenziosa. Ugo è seduto a uno dei tavolini agli angoli della stanza. Sul tavolino, di fronte a lui, un libro: Ezra Solomon, l’autore del testo base  di “Istituzioni di finanza aziendale”, l’esame più ostico. Quello che non riesco a passare.

“Facciamo che ti aiuto a preparare finanza”. Finanza è l’indirizzo scelto da Ugo.
Mi siedo. Senza dire nulla. Iniziamo subito e lavoriamo fino all’orario di ricevimento.

Ugo arriva in ospedale due ore prima dell’orario di ricevimento. Per venti giorni. E mi prepara meticolosamente. Dopo il ricovero mi iscrivo al primo appello. Ventiquattro. In perfetta media.
(1991, circa)

DALL’INTERFERONE AL TRAPIANTO DI MIDOLLO

Prima leggi: L’INTERFERONE, GIOVENALE E IL NEGOZIATO CON IL PROF.

Irrompo nel corridoio del DIMER. Sono in ritardo di quasi un’ora. Colpa del traffico alla frontiera. Raffaella, l’infermiere con cui sono diventato amico, mi corre incontro.

“Il Prof. ti sta aspettando negli ambulatori. Corri. Non è per niente è abituato ad aspettare”. Il rimprovero di Raffaella è secco.
Non rispondo e mi avvio con il passo più spedito che mi posso permettere. Raffaella mi segue.

Il Prof. ci sta aspettando chino sulla scrivania. Sta studiando qualcosa. La sua capacità di capitalizzare ogni istante per la medicina è straordinaria. Ci vede arrivare. Alza la testa e accenna un sorriso stirato. Gli consegno la scatola con il farmaco. E il sorriso si apre.

“Ok”, sentenzia.
Gli ho portato interferon Avonex beta 1A. Quello giusto.
Raffaella me lo inietta subito.
“Le ho trovato un letto – mi comunica Il Prof. – La ricovero in un giorno in osservazione per gli effetti collaterali”.
Effetti collaterali che mi assalgono puntualmente dopo poche ore. Febbre oltre i 38°, brividi fortissimi, dolori alle ossa. La mattina seguente mi sveglio senza sintomi. La sera vengo dimesso. L’interferone sarà il mio nuovo compagno.

Per tutto l’anno successivo, ogni sabato sera, la mamma mi fa la puntura di interferone. Gli effetti collaterali mi colpiscono durante la notte. La domenica comincio il recupero. La sera di domenica mi sento pronto ad affrontare la settimana. E così riesco a non perdere un giorno di lavoro.
La mia situazione di salute non migliora. Anzi, con il passare dei mesi peggiora nonostante l’interferone. Le gambe diventano sempre più pesanti. Alzarmi da una seggiola diventa uno sforzo notevole. Per alzarmi dal divano mi trasferisco dal cuscino al bracciolo. L’equilibrio si fa sempre più precario. Cammino appoggiandomi ai muri. E comincio a pensare alla seggiola a rotelle.
Le visite di controllo con Il Prof. si fanno sempre più frequenti. La preoccupazione cresce. Bisogna trovare una strada alternativa. Il Prof. lancia un’idea: il trapianto di midollo.
(Novembre 1997-1998)

DEDO: IL MIO FIL ROUGE E L’IMPORTANZA DEI MIEI AMICI

Prima leggi: PRIMA DELLA CIDP (EP. 3)… 10 anni di judo

Trentacinque anni sono una vita. Sono tanti. Trentacinque anni fa il filo della mia vita si annodava con quello di Dedo. Un nodo discreto e leggero stretto in una palestra. Combattendo su un tatami. In trentacinque anni i fili si sono avvicinati e allontanati seguendo il ritmo delle nostre vite. Scuola. Università. Lavoro. Donne. Si sono avvicinati e allontanati rimanendo sempre legati.
La mia CIDP non ha cambiato la naturalezza dei nostri ritmi. Nei momenti più difficili Dedo c’è sempre stato.

“Ricky, starti vicino è semplice. Affronti la malattia in un modo che non la fai pesare”.
“Se riesco ad affrontare la malattia in questo modo è solo grazie a voi. Al fatto che mi accettate comunque”.
“Ricky, ti assicuro che sei tu che lo rende possibile”.
“Vecchio, non può capire quanto siete importanti”.
E continuiamo così nella riedizione della discussione aristotelica dell’uovo e la gallina. Senza che l’uno convinca l’altro.

Quando mi guardo indietro vedo tantissimi fili. Quello di Dedo è rosso.

L’INTERFERONE, GIOVENALE E IL NEGOZIATO CON IL PROF.

Prima leggi: MIGLIORO, PEGGIORO, MIGLIORO, PEGGIORO: LA PRIMA CADUTA E L’INTERFERONE

Per l’interferone ci vorrà ancora un mese. Trenta giorni. Trenta lunghissimi giorni nei quali la CIDP avrà la libertà di attaccare il sistema nervoso periferico nelle gambe. Lei libera e indisturbata. Io, prigioniero dell’incertezza. Ho fretta. E sono preoccupato delle cadute. La sera dopo quella al Museum sono al telefono con Giovenale. Gli sto raccontando della caduta, dell’interferone, del comitato etico, dei trenta giorni di attesa. È palesemente preoccupato. Cerca di capire le prospettive. Chiede dell’interferone. Come si somministra. La frequenza delle iniezioni. Dove si compra. Domande di rito. Apparentemente.
“Ricky, ho trovato quattro fiale di interferone in una farmacia in Svizzera. Tutto legale. (Nota: In Svizzera l’interferone viene appunto venduto anche in farmacia). Sabato mattina ti passo a prendere e andiamo a ritirarlo. Ho con me i soldi (nota: una fiala di interferone costava circa L. 500.000). Non ti offendere, ma te lo regaliamo Dalila e io”. Giovenale mi lascia senza parole. In meno di un giorno ha trovato il farmaco. Senza dirmi niente. Dalla fine della storia con Daria Giovenale, Dalila e io ci siamo legati. Ma non pensavo così. Accetto tutto. Tranne il fatto che lo pagherò io.
Il Prof. è reticente. Vorrebbe che aspettassi il farmaco dal San Raffaele. Insisto. Non si sa se il farmaco sarà quello giusto, ci sono tanti interferoni. Cerca di mettermi in guardia dalla reazione al farmaco. Tutto per indurmi a desistere. Sono irremovibile.

“Professore, con tutto il rispetto, sabato sera farò la prima dose di interferone. Con lei o senza di lei”.
Una lunga pausa sembra allontanarci.
“Va bene. Sabato vada a ritirare il farmaco e venga subito al DIMER. La aspetto entro mezzogiorno”.
Ce l’ho fatta. Il Prof. e io, sempre in squadra.

(Novembre 1997, circa)

CRONACA DELL’INFARTO (EP. 7) … Gli amici

PRIMA LEGGI: CRONACA DELL’INFARTO (Ep. 6) … Unità coronarica e l’arrivo di Nelly

Rita. Ninfa. Sabina. Mario che è corso in ospedale. E nella sua immensa generosità ha fatto di tutto per aspettare che mi svegliassi dal sonno in cui sono piombato dopo l’arrivo di Nelly. Lo sentivo lontano, lontano, mentre parlava con Nelly. Pensavo fosse un sogno. Gianni una presenza irrinunciabile. Patrizia.
Marco Fiorentini. Da anni ci chiamiamo reciprocamente “fratello”. Non è un caso che abbia fatto di tutto per starmi vicino. Fabrizio, che c’è sempre. Febo, che ha la fobia degli ospedali. E tutte le volte che viene a trovarmi mi sorprende. Corrado.
Dedo. L’impegnatissimo Dedo. Riesce a trovare il tempo per venire a trovarmi. L’amicizia nata sul tatami. Da adolescenti. Trent’anni dopo ci siamo ancora. Dedo, tra gli amici quello più diretto. La persona che più mi ha fatto da specchio nei primi anni della malattia.
Gli SMS che Nelly ha ricevuto. Quello di Ugo. Non ci sentiamo dalla sua crisi con Romana. Risolta la crisi Ugo non ha trovato di meglio che ribaltare responsabilità su di noi. Sono passati cinque anni e l’SMS è laconico: “è vero che Ricky ha avuto un problema al cuore?”. Nelly, schiacciata dalla tensione dell’infarto, dalla consapevolezza della gravità del rischio che ho corso, trova l’energia di andare a vedere. Invece di un’altrettanto laconico “si”, risponde: “il ragazzaccio, non contento di tutti i problemi che ha già, ha voluto farci prendere un bello spavento. È riuscito a prenderlo in tempo e adesso sta bene…”. Un invito. Nessuna risposta.
Le telefonate che Nelly ha ricevuto. Bucc. “Flavio mi ha chiamato quasi alle lacrime”. Nelly mi racconta della chiamata di Bucc. Ascolto. Sono distrutto dalla stanchezza. Vorrei rimandare qualsiasi cosa. Anche questa telefonata. Ne ho tutti i diritti. Invece non ho alcuna esitazione. “Chiamalo, per favore”. Non ci sentiamo da 2 anni per orgoglio. L’orgoglio, il cuneo più subdolo che si insinua tra due amici. L’infarto mia ha restituito Flavio. Fosse solo per questo, ne è valsa la pena.
La rete degli amici si è messa in moto. Nelly e gli amici. Sono fortunato.
(16-21 marzo 2012)