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Fabio esce dalla stanza accompagnato da due occhi che sprigionano energia. L’energia che precede i grandi eventi e che prende le viscere. L’energia che, dopo mesi di attesa si prepara a esplodere. L’energia che farà sembrare l’ultimo passo molto lungo. Lunghissimo. Interminabile. È l’ultimo giorno. Il giorno di riposo dopo la fine della chemioterapia. Il sole è alto. Le saracinesche arrotolate. La luce invade la camera. Sono pronto. Forse troppo.
“Alexandros” di Valerio Massimo Manfredi è la mia distrazione. Una quasi-metafora dei miei ultimi due anni. Quelli della lunga preparazione per il trapianto. Quelli della visione. Della decisione. Del coraggio e della determinazione di seguirla. Dopo poche pagine Alexandros è l’unica cosa alla quale riesco a pensare. E il tempo comincia a volare. Per fortuna. A mezzanotte gli occhi rifiutano le parole. Chiudo il libro. Lo appoggio sul letto all’altezza delle gambe. Mi addormento sereno con un unico pensiero. Domani mattina rinasco. Comincerò di nuovo, ripartendo da zero. Fabio entrerà con le sacche di cellule staminali. E sarà nuova vita. Rifarò cose antiche. Già vissute. Sarà una seconda prima volta. L’emozione sarà fortissima perché ogni piccolo spazio di autonomia sarà uno spazio riconquistato. Il senso di 13 anni di lotta si svelerà in pochi istanti. Quelli dell’infusione delle staminali. Sarò all’altezza. Chiudo gli occhi e mi vedo camminare da solo, guidare la macchina. Le immagini si sfocano. Si confondono. Il sonno prende il sopravvento.
Le mani sono fortissime. Freddissime. Stringono con forza la gola. È l’alba. La luce entra dalle finestre con decisione. Sono sdraiato sul lato sinistro della schiena. La spalla destra leggermente sollevata. Capisco cosa stia succedendo.
Continuano a stringere. La potenza della morsa è inaudita. Mi manca l’aria. Socchiudo gli occhi. Vedo le braccia. Le seguo fino alle spalle, al collo. Cerco il viso. Che non c’è. Al suo posto il nulla. Il persecutore è tornato. Proprio oggi. Mentre stringe con veemenza mi rivolgo al nulla. Senza parlare.
“Non puoi. Non puoi tornare proprio oggi. Io sto per rinascere. Non mi fermerai. Il tuo tentativo non mi fermerà. Stai perdendo. Capisci? Stai perdendo. Lo capisci? Non hai speranza alcuna. Ti conosco oramai. Mi aggredisci proprio ora, proprio stamattina perché sai che funzionerà. E se anche avessi avuto un minimo dubbio annidato in qualche remoto angolo della mia mente, se anche ce l’avessi avuto, è evaporato. Hai paura. Stringi. Stringi pure… “.
Stringe con tutte le energie. Sto per cedere.
Distolgo lo sguardo dal nulla. Chiudo gli occhi. E con calma, una calma inaspettata, sentenzio: “se non mi lasci in pace, ti uccido”.
Improvvisamente la morsa alla gola svanisce. Il persecutore non è più lì.
(Dicembre 1999)