L’AGGRESSIONE

Mi colpisce in piena guancia destra con una violenza inaudita. Il pugno è assestato alla perfezione. Con altrettanta maestria e violenza colpisce lo zigomo sinistro. E continua. Guancia destra. Zigomo sinistro. Non riesco a divincolarmi. Sono sdraiato e l’aggressore mi si è seduto sopra.

Cerco di coprirmi il volto con le braccia. Non riesco a muoverle. Anzi, si spostano lentamente al prezzo di uno sforzo sovrumano. Sembrano trattenute da elastici. Urlo. Non ci riesco. Riesco ad emettere un mugolio sordo e flebile. Comincio ad avere paura. E intanto comincio a percepire ciò che c’è intorno a me. Buio. Sono sdraiato nel mio letto. L’aggressore continua a colpire mentre cerco di muovere le braccia pesanti e di urlare per chiamare aiuto. Non mi sentirà nessuno. Riconosco le sensazioni dell’incubo della “linea”. La paura diventa terrore. Sono solo, indifeso. Con questo aggressore vestito di nero che mi colpisce incessantemente.
Le braccia si sollevano. Lentamente. Cerco di colpirlo in faccia. La sua faccia! Non ce l’ha. Non ha la faccia. Sotto il cappuccio c’è una testa. Un nulla grigio al posto del viso. Il terrore cresce. Si mescola all’ansia. Per l’ultima volta cerco di urlare. Niente. Non arriverà nessuno ad aiutarmi. Crollo nel sonno.
La mattina ripercorro l’incubo mentre un brivido mi scuote la schiena. È passato un mese dall’incubo della “linea”, pochi mesi da quando ho cominciato la psicanalisi. Le analogie tra i due incubi sono inquietanti. Affrontiamoli.
(1997, circa)

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