PRIMA DELLA CIDP (EP. 3)… 10 anni di judo

Non ricordo quando sia scoppiato l’amore con il judo. Mi ricordo che non perdevo una lezione. A un certo punto non ne potevo più fare a meno. Imparavo in fretta. Con naturalezza. E altrettanto rapidamente entravo nella squadra agonistica. Le lezioni diventarono allenamenti. E i risultati nei tornei incominciarono ad arrivare con sempre maggiore regolarità. Ero bravo. Tecnicamente preparato. Sufficientemente forte. Più preparato nel combattimento a terra che in quello in piedi.
Arrivarono le prime vittorie, che mi spartivo con Dedo: compagno di allenamenti prima. Grande amico poi. Le nostre vittorie divennero la regola. Più le sue. All’inizio era divertente. Ma presto incominciai ad “annoiarmi”. Anche perché non stavo più imparando. Tanto meno migliorando. Nei tornei gli avversari erano pochi. Come poche erano le palestre affiliate alla “Amici del judo”, un’associazione non riconosciuta dal CONI. Complice un contrasto con il maestro cambiai palestra ed entrai nel Judo Club Sumo, affiliato alla federazione nazionale. Avevo 16 anni. Fu la mia prima decisione di cambiamento.
Primo torneo: sconfitta al primo turno. Incredibile. Quasi impossibile. Un bel bagno di umiltà. Era importante reagire. Muovermi nella direzione giusta. Tecnicamente ero all’altezza dei miei avversari. Ma potevo migliorare. Dovevo migliorare. Soprattutto nel combattimento in piedi. Fisicamente avevo meno forza e meno resistenza. Dovevo allenarmi di più. Corsa: 7 km quattro volte alla settimana. Pesi: quattro volte alla settimana. Allenamento di judo: quattro volte alla settimana. Avevo 16 anni ed ero quasi un professionista! Sei mesi dopo vincevo il mio primo torneo. Un anno dopo il mio piazzamento minimo era la semifinale. A 19 anni mi classificai terzo ai campionati italiani per cinture marroni, categoria juniores.
A 20 anni dovevo passare tra i seniores. Un bel salto di qualità. Andava fatto con consapevolezza. Le difficoltà sarebbero cresciute. Avevo già combattuto in alcuni tornei open. E me l’ero cavata bene. Avevo vinto anche una medaglia di bronzo. Fare parte della categoria stabilmente era diverso. Ancora più  impegnativo. Avrei dovuto allenarmi di più. Ero abituato a gareggiare ai vertici. E al vertice volevo rimanere. Ma era giunto il momento di guardarmi dentro onestamente. Compresi che non avevo il talento judoistico per mantenere quel livello. Vincevo perché avevo più resistenza alla fatica dei miei avversari. Sembravo un fenomeno. In realtà li prendevo per stanchezza. Tra i seniores la preparazione fisica dei combattenti era mediamente superiore. Era giunto il momento di smettere. Chiusi con il judo.
10 anni di combattimenti, di disciplina. Ho vinto tanto quanto meritavo. Qualche piccola soddisfazione come la vittoria in un torneo internazionale. O come quella volta in cui entrai in sala peso nell’ultimo minuto valido e sentii avversari mai visti prima bisbigliare: “noooo… c’è anche Taverna”.

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