Non che adesso che ho la CIDP sia meno da prendere a sberle. Più o meno simpaticamente c’è sicuramente qualcuno che lo farebbe volentieri anche oggi. E tra i badanti me ne vengono in mente alcuni che lo farebbero ben poco simpaticamente.
Certo è che se oggi mi incontrassi da bambino dovrei trattenermi dallo scaldarmi le mani sulle mie guance a suon di schiaffetti. Frignone, fifone, bugiardo, vigliacco della risma più viscida. Ero il tipo di bambino che ne combinava una, ben cosciente di quello che stava facendo, ne dava la colpa agli altri, spesso ad Alessandro, mio fratello minore di tre anni, per poi mettermi a piangere quando venivo regolarmente scoperto.
Mi torna in mente un episodio significativo. Avrò avuto sette o otto anni. Abitavamo in Libia, a Benghasi. La mia famiglia e quella di Sami vivevano in simbiosi. Sami era il mio “miglior amico”. Leila lo era di mia sorella Marta, Anwar di Alessandro. Sami era il mio miglior amico, ma il mio era un sentimento di amore-odio. Devo ammettere che lo invidiavo. Era il mio contrario. Comunque. In quei giorni ce l’avevo con lui. Non mi ricordo il motivo, ma quella volta l’avrebbe pagata. Ed ero sicuro di farcela. Eccome se ne ero sicuro. Aveva il braccio ingessato. Ebbene. Tutte le mattine veniva a casa mia a giocare. Quella mattina lo aspettai seduto sul muretto. Arrivò. “Ciao Ricky”. Saltai giù dal muro di fronte a lui. “Adesso ti picchio” dissi. Tranquillo, Sami alzò il braccio rotto e mi diede una gessata in testa. Mi allontanai piangendo… “mammaaaa… Sami mi ha fatto male”.
Chissà come sarei cresciuto? Chissà come avrei affrontato la malattia se non avessi incontrato il Judo?
Quando ho scritto che ero super allenato Rodolfo mi ha chiesto che sport avessi praticato. La sua ipotesi è che lo sport (corsa, pesi, sci e windsurf) mi abbiano dato la forza di affrontare la malattia. Ci ho pensato. È merito del Judo. Rodolfo, grazie per lo spunto di riflessione che mi fatto aprire il filone PRIMA DELLA CIDP.
(1972, circa)