CATANIA: AEROPORTO FONTANAROSSA … SI DECOLLA

Febbraio 2010. B2 Axioma diventa consulente di reputazione di SAI8, il gestore del servizio idrico integrato della provincia di Siracusa. In poco più di un mese le trasferte a Siracusa diventano settimanali. Viaggiando in aereo, imparo le regole di imbarco dei disabili. Tutto, naturalmente, accade con la compagnia del badante di turno.

Come tutti, comincio dal check in. Di fronte all’addetto, parte la lunga catena di passaggi che mi porteranno alla poltrona assegnata ai disabili sull’aereo. Registrazione della richiesta di assistenza. Registrazione della carrozzina come bagaglio. Parcheggio in “Sala amica”, la sala degli imbarchi assistiti. Chiamata del volo. L’addetto all’assistenza che mi accompagna al gate.

All’imbarco spesso passo per primo. Come da procedura. Prima di entrare nella carlinga, che sia dal finger o dal mezzo di assistenza con montacarichi incorporato, passo sulla carrozzina di servizio. Bassa, stretta, scomoda. Realizzata per percorrere i pochi metri del corridoio che, come un canyon tra le file di poltrone, separano il portellone dal posto per gli invalidi.

Avviene tutto secondo procedure studiate, provate e certificate. Le procedure sono sacre. Scolpite nella pietra. Violarle, aggirarle è impossibile. Anzi, vietato. Vietatissimo. L’aeroporto ha la responsabilità del disabile. La parola d’ordine è: nessun rischio.

Ore venti di un giovedì di luglio. Il finger si apre davanti alla mia carrozzina. Marco, l’addetto all’assistenza, la trattiene. Siamo nel punto più ripido. Richard, il badante dell’Ecuador, cammina ciondolando alla mia sinistra con la tracolla, la borsa con il computer, il suo zaino. All’aeroporto Fontanarossa di Catania i disabili si imbarcano per primi.

Ho perso il conto delle volte che sono passato dall’aeroporto alle pendici dell’Etna. Sono tante. Talmente tante da avere conosciuto tutti gli assistenti all’imbarco. Con alcuni i confini della semplice conoscenza sono stati superati. Tanto che se sanno che sono di passaggio si fanno cambiare il turno per rivedermi. Marco è quello con cui sono in maggiore confidenza.

Fuori dal portellone anteriore, il finger si allarga in una piccola piazzola dove si incrociano addetti alle pulizie, addetti alla stazione, hostess, steward, assistente allo scalo, operatori di carico. Ognuno con un compito. Definito da procedure collaudate.

“Non c’è ancora?”. Marco commenta laconico mentre prende la radio e informa la sala amica che la carrozzina di servizio non è ancora arrivata.

“L’abbiamo richiesta cinque minuti fa”, interviene la capo equipaggio. Indossa la divisa Alitalia senza la giacca verde. Mora con i capelli tagliati appena sopra la spalla. Viso affabile nonostante i lineamenti spigolosi. Occhi decisi.

I minuti passano. Al gate comincia l’imbarco. E i passeggeri sciamano lungo il finger. Per fermarsi a un metro da me. Dietro la banda che la capo equipaggio ha appena tirato attraverso il corridoio. Le procedure sono procedure. Devo essere imbarcato per primo. I minuti passano.

Marco contatta la sala amica. Sembra che in tutto lo scalo ci sia un’unica carrozzina di servizio e che si sia scatenata la caccia. Marco, la capo equipaggio e io scambiamo alcune battute. Richard ciondola il suo corpaccione alla Fred Flinstone da una gamba all’altra. I passeggeri attendono la carrozzina con impaziente serenità.

Non ho mai voluto che la CIDP mi ostacolasse. Non ho mai voluto che i miei limiti ostacolassero gli altri: parenti, amici, estranei. Nelly. Essere il blocco dell’imbarco comincia a infastidirmi. Non per imbarazzo. Perché i passeggeri dipendono da me. E io dipendo da una situazione che non controllo. Fino ad ora.

Mando Richard a depositare al nostro posto borse, pedane e cuscino. Le battute con Marco e la capo equipaggio, intanto, si sono trasformate in una conversazione sulla Sicilia. Richard emerge dalla carlinga. Si piazza a un paio di metri dalla carrozzina. Riprende a ciondolare. I minuti continuano a passare. Sono diventati venti. E della carrozzina di servizio nessuna traccia.

Chiamo Richard.

“Marco, ci vediamo la settimana prossima”.

“O-ok…”. Marco mi saluta confuso.

Metto il braccio destro intorno alle spalle di Richard. Che mi afferra pantaloni e cintura con la mano sinistra. In un attimo sono in piedi.

“Può portarla nella stiva”, comunico all’addetto facendo cenno alla carrozzina.

“Cosa fa!?”. Il capo scalo mi apostrofa.

“Vado al mio posto…”

“Le procedure…”, cerca di intervenire la capo equipaggio

La interrompo bruscamente. “Mi muovo sotto la mia responsabilità”.

“Ma…”, Riprova la capo equipaggio.

La blocco con un’occhiata perentoria e rassicurante.

“Facciamo decollare quest’aereo”. Ho messo fine a qualsiasi obiezione.

L’imbarco è terminato. Il portellone si è chiuso. L’equipaggio ha dato tutte le istruzioni. I passeggeri sono tutti seduti con le cinture allacciate. I propulsori stanno aumentando la potenza. Il finger si stacca dalla fusoliera. La capo equipaggio procede a passo di marcia verso la coda. Sta scrutando le ultime file. Mi vede. Si fa seria. Mi raggiunge. E mi dà la mano.

“Grazie. Grazie di tutto”

“Si figuri, l’avrebbe fatto chiunque”

“Grazie ancora”. Sorride. Si volta. E riparte verso la prua.

Fa pochi passi. Improvvisamente si ferma. Temporeggia un istante. Si volta di scatto. Fa un passo verso di me. Mi guarda negli occhi e dice: “no! Non è vero. Lei è un grande”.

 

(Luglio, 2010)

 

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