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Leonardo e Carlo, i giganti.(Prima parte)

Diversità, sofferenza, depressione, resurrezione, felicità. Il monologo di Leonardo lascia il segno, come sempre. Il teatro è quasi vuoto. Ci saranno 30 persone, ma sono persone motivate. Sono presenti perché vogliono sentire qualcuno parlare di difficoltà e sofferenza, e soprattutto da chi le ha superate. L’attenzione è così forte che si può quasi toccare il silenzio. Il carisma di Leonardo fa presa come il cemento rapido che si asciuga sotto il sole. Forte.Ogni volta che sento raccontare la sua storia mi sorprende che un uomo sia passato attraverso tutta quella sofferenza quasi indenne. E oggi lo racconta con una straordinaria autoironia, la cifra della sua resurrezione. Tutte le volte che lo ascolto scopro una nuova sfumatura, un nuovo angolo che cominciano sorprendermi sempre meno man mano che lo conosco. E la mia stima cresce.

Io sono in mezzo al palco comodamente seduto sulla mia seggiola a rotelle. Ho finito la prima parte del mio intervento sulla disabilità. Tocca a Leonardo, il mio “fratellone”, che mi vuole sempre vicino. Dice che ha bisogno di interagire con me. Ma probabilmente vuole la mia compagnia o forse la mia rassicurazione. Non importa. Il mio fratellone mi vuole lì, al centro, e io sarò lì dove lui mi vuole. Lo chiamo “fratellone” nonostante l’altezza. Anzi, a dispetto dell’altezza, per rompere gli schemi così come ho intitolato “Tutte le fortune” il mio libro.

Ci siamo conosciuti alla seconda presentazione del libro in questo caso fortissimamente voluta da Ida La Camera del circolo “vivi con stile” di Legambiente. Stavamo provando il microfono alla “Stecca degli artigiani”. Il microfono funzionava. L’asta che doveva tenerlo poco lontano dalla mia bocca, invece, non voleva saperne di stare in posizione. Aspettava pochi secondi e poi si piegava come un girasole nella notte. Ogni volta che provavano.

La presentazione alla “Stecca degli artigiani”

Leonardo era saltato giù da una sedia in seconda fila, aveva raggiunto il gruppetto di tecnici o sedicenti tali, aveva staccato il microfono dall’asta e con la sua dolcezza che non ammette repliche disse che lo avrebbe tenuto lui. Mi sono preoccupato. Leonardo è affetto da acondroplasia. È un nano, tanto per intenderci. L’avevo guardato con sorpresa e mi ero preoccupato. Non volevo approfittare. “Tranquillo” mi disse guardandomi dal basso in alto con la sua voce profonda e calda. Il microfono è stato tutta la sera in posizione. Leonardo non si era mosso di un soffio. Ha tenuto il microfono senza lamentarsi. Poche settimane dopo debuttavamo con il nostro spettacolo sulla disabilità. Così ho scoperto cos’è Leonardo. È un uomo come ce ne sono pochi. Quando lo vedi arrivare lo noti perché è piccolo piccolo. Poi lo conosci, e Leonardo si conosce in fretta, e ti rendi conto di essere al cospetto di un gigante. Perché tutta quella umanità, quella generosità, quella dolcezza non possono che albergare in un gigante.

Quando Leonardo parla non sta fermo un istante: attraversa il palco, torna indietro, sparisce dietro una quinta, ricompare dall’altra, mi raggiunge e mi mette una mano sulla spalla. Riparte. Ritorna. Io rischio il mal di testa ma non lo perdo d’occhio. Lo seguo incessantemente.

Lo sto seguendo da alcuni minuti. Gli occhi lo seguono quando improvvisamente mi suggono verso sinistra. In prima fila. Le luci del palco che assolvono anche il compito di non rendere visibile il pubblico non mi danno una mano. Sono attratto da una figura familiare. “Toh”, penso dopo un po’ che lo osservo. “Guarda un po’ quanto quello assomiglia a Carlo”.

LE NOTTI ALLA RINGHIERA: IL DECALOGO DEL PELO

naviglioPrima leggi: LE NOTTI ALLA RINGHIERA: IL DECALOGO DELLE CHIAPPE

Febo mi incalza: “pelo biondo…?”

“Mi ci fiondo”, rispondo prontamente.

Febo prende appunti e commenta ghignando: “bella questa!” E continua imperterrito: “pelo moro…?”

“Lo traforo”.

Febo scrive accompagnando la penna con una risata. Marco, il barista, e Guido, il fratello di Marcone, non riescono più a trattenere la curiosità. Si avvicinano. Si siedono. E assistono. La Ringhiera sempre deserta. Marcone ci raggiunge.

“Pelo riccio? ”

“Lo stropiccio “, rispondo di slancio.

“Pelo ritto”.

“Pelo ritto?… Pelo ritto?… Va sconfitto!”

” Cioè?” Febo si fa severo. Fintamente severo, mentre si prepara alla prima bocciatura.

Gli altri assistono con le lacrime agli occhi.

“È una questione di logica – spiego, o almeno cerco di spiegare dandomi un tono – Un pelo ritto è rigido. Quindi respingente per definizione. Ora. Per poter passare, bisogna scansarlo … come … per esempio … in un assalto di scherma. In una parola, va sconfitto”.

“Ok – decreta Febo – e, pelo fitto?”

“Ne approfitto …”

“Questa era facile – sospira Febo – pelo rosso?”

“……… A più non posso!”, scandisco trionfante. “Ricks, la mettiamo la rima – obietta Febo – rosso non fa rima con posso!”. È un susseguirsi di “o” spalancate prima e chiuse poi.

Contro obietto. “Dai Febone! Ti ho propinato 18 rime ineccepibili. Questa me la lasci passare, almeno per la sua creatività”.

“La rima, Ricks. Ci vuole la rima”.

“Ok – annuisco – pelo rosso a più non posso”. Chiudo la “o” di posso. E la rima è fatta.

Febo approva.

“Ultimo Ricks”. Febo si concentra. Fissa l’elenco. Raccoglie i pensieri. E lancia la decima sfida: “pelo grigio”.

“Questa sì che mi mette in difficoltà Febone. Pelo grigio ………… eccola … sarò ligio”.

Ci alziamo. Prima, Febo prende i decaloghi. Li piega. E mentre li sta mettendo nel portafogli viene bloccato dalla mano di Marcone.

“Questi rimangono qui – decreta – li tengo alla cassa”.

“Scusa, posso vedere i decaloghi?”. Ogni sera qualcuno chiede a Marco o a Marcone gli elenchi. Questa sera però …

“Febone…”.

“Ricks…”.

“Conosci?”. Indico il ragazzo davanti alla cassa.

Febo lo squadra. “No. Perché?”

(1995, maggio. Circa)