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Leonardo e Carlo: i giganti (parte 2-fine)

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Distolgo lo sguardo. Ma solo per un attimo. È troppo familiare. Lo riguardo. Mi sorride. “Cazzo, è proprio uguale a Carlo”. “Oh cazzo… È Carlo!”. Allungo il collo per avvicinare gli occhi. Anche pochi centimetri possono fare la differenza. Formulo le parole “sei tu” con il solo labiale. Mi sorride. È lui. Mentre Leonardo continua il suo monologo penso a Carlo e alla sorpresa che mi sta facendo. Al senso del fatto che sia qui stasera, a 150 km da Reggio Emilia. Non ha senso. È alla terza presentazione del mio libro. Ogni tanto ci lanciamo un’occhiata.

Da quanti anni conosco Carlo? 40. Una vita. Faccio un respiro profondo per riprendermi dalla consapevolezza del tempo che è passato. Da quanto tempo? E la mente corre alla prima pagina del mio libro: “La salsedine che riempie il respiro, il sale che secca la pelle, la sabbia che brucia sotto i piedi… Se chiudo gli occhi e guardo indietro, alla prima immagine ed emozione che ricordo, vede il mare, il movimento incessante delle onde, il ritmo con il quale si infrangevano una dopo l’altra, una nell’altra. L’orizzonte limpido e infinito del Mediterraneo, le sfumature di azzurro che riempivano ogni respiro. Alle mie spalle la spiaggia e, poco più indietro, Bengasi, la seconda città e porto principale della Libia.

Al mio fianco Sami, il mio migliore amico, e poi Alessandro, Anwar, Carlo, Massimo e Ricky. (…). Passavamo ore a correre e saltare tra le onde (…).

Sono i miei primi amici. Carlo c’era già. Ma poi? Poi, c’è sempre stato. Non te lo dava a vedere. Era discreto, Carlo è sempre stato discreto. Ma se c’era una persona sulla quale potevi contare, quella era Carlo. Difficilmente Carlo diceva di “no”. Almeno, le volte che l’ho sentito io sono talmente rare che mi sono chiesto se sapesse pronunciare quella parolina. Carlo è quello che ti aiuta senza che tu glielo chieda. Carlo è quello che ti sorprende. Come mi ha sorpreso quando mi ha chiamato per dirmi che stava organizzando una presentazione del mio libro a Reggio Emilia. La sorpresa più grossa è stata la sua introduzione. Di me ha detto cose che non avrei mai immaginato. Ma la cosa ancora più sorprendente è stata l’emozione con cui leggeva. Mentre lo ascoltavo, mentre lo guardavo pensavo a quanto gli voglio bene e quanto, alle volte, mi è capitato di darlo per scontato. Invece Carlo è un altro gigante. Non te lo dà a vedere. Devi scoprirlo lentamente e te lo devi meritare.

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Quando Franco, suo papà, ci ha lasciati, dopo che Carlo l’aveva accudito per un numero incalcolabile di fine settimana, sono andato al funerale con Flavio, un nostro amico dai tempi della Libia. Tornando ripensavamo alla famiglia Coda, agli episodi di vita vissuta con Carlo, Massimo, Marina, Franco e Paola. Flavio interrompe uno dei lunghi silenzi che ci accompagnavano sulla strada del ritorno:

“Carlo è la persona più buona che io conosca”.

“È vero Fla”.

Abbiamo terminato lo spettacolo e mi sono precipitato da Carlo. Ci siamo abbracciati. Poco lontano da noi Stepan mi aspettava. Gli avevo giurato che finita la rappresentazione saremmo tornati a casa. Non avevo intenzione di rompere la promessa.

“Carlo, porca miseria, se tu mi avessi avvisato mi sarei organizzato. Purtroppo devo andare a casa subito”.

“Non è importante Ricky, mi bastava sentirti parlare”.

Questo è Carlo.