(L’entrata dei box è nella via dietro il nostro condominio. Cento metri dopo c’è il nostro passo carraio privato. Dal cancello a via Pampuri, la prima via principale, i metri sono duecento. Duecento metri senza nome. E come tutte le vie orfane di un’identità i servizi di manutenzione, pulizia e spazzaneve, non sono previsti).
“Sir, è sempre più faticoso”. Fernando mi aggiorna in perfetto inglese.
Fernando è dello Sri Lanka. Alto come me. Pelle scurissima. Il portamento degli anglosassoni delle colonie. Ci parliamo in inglese. È più facile per entrambi. Mi chiama “Sir”. E quando provo a convincerlo di quanto sia ridicolo non sente ragioni. Così lo chiamo “Mr. Fernando”. Lui non vuole. Io non sento ragioni.
La neve è caduta per tutta la notte. Leggera. Insistente. Asciutta e farinosa. La mattina il posto macchine ci accoglie con cinquanta centimetri di fiocchi bianchi. Una barriera naturale che dovrebbe scoraggiare qualsiasi uscita. Dovrebbe.
“Mr. Fernando, come sono le strade?”
“Pulite, Sir”.
Sotto, sotto, speravo in questa risposta. Quelle due parole hanno ridotto istantaneamente la distanza tra casa e ufficio.
“Mr. Fernando, prendi il badile e libera il posto macchine dalla neve”.
Mr. Fernando non dice mai di no. Esegue. In poco più di 30 minuti i pochi metri dal cancello alla macchina sono stati liberati. O quasi. Mentre Mr. Fernando spalava si sono depositati altri venti centimetri di fiocchi.
Saltiamo in macchina e attraversiamo il cancello. La via senza nome ci aspetta con più di mezzo metro di neve. E una sfida lunga duecento metri. La strategia è di affrontarli in retromarcia. A velocità costante. Senza fermarsi. Si spera. Cinque metri e siamo fermi. Le ruote girano a vuoto. Siamo bloccati da un cumulo che abbiamo creato spingendo la neve e compattandola.
“Torniamo a casa, Sir?”, domanda Mr. Fernando dopo avermi descritto l’ostacolo.
“Non possiamo, Mr. Fernando. Alle le 12:30 abbiamo un appuntamento in ufficio per la firma di un contratto. Mi dispiace, ma deve spalare la strada fino a via Pampuri. Spali pochi metri. Spostiamo la macchina. Spala pochi metri. Spostiamo la macchina. E via così”.
Mr. Fernando aggredisce la neve. Il badile vortica come una catapulta. Pochi minuti. Sale in macchina. Arretriamo di cinque metri. Scende. Spala. Sposta la macchina. Scende. Spala. E continuiamo. Mr. Fernando sembra bionico. Ma dopo il quarto spostamento della macchina comincia a rallentare.
“Sir, è sempre più faticoso”, mi aggiorna Fernando nel suo inglese perfetto.
“Come mai?”, domando per cercare di capire l’entità del problema.
“Si fa sempre più difficile. C’è sempre più neve da spalare”, mi risponde Mr. Fernando con gli occhi che chiedono un po’ di indulgenza.
Mi guardo in giro. Saranno caduti altri cinque centimetri. Non capisco. Chiedo ulteriori spiegazioni. Continuo a non capire.
“Ok Mr. Fernando. Mi aiuti a scendere dalla macchina che do un’occhiata”.
Affondo nella neve appoggiato a Mr. Fernando. Appoggio attentamente i piedi nelle sue orme fino alla parte posteriore della macchina. Controllo di avere le gambe saldamente piantate. Alzo gli occhi. Che lentamente scorrono lungo il profilo di un cumulo di neve alto un metro e mezzo. Sospiro.
“Mr. Fernando, si suppone che la neve venga spalata ai lati della macchina… non dietro…”.
“Oh… Ora capisco Sir”
(febbraio, 2004)