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Ospite al convegno “Sclerosi multipla e narrazione” per raccontare la mia storia di paziente.

Quando il professor Comi convoca non ci sono alternative: si risponde presente. Tutto è cominciato sei mesi fa quando ho risposto a una telefonata di un numero sconosciuto. Dall’altro capo della comunicazione, una voce di donna mi invitava a partecipare al convegno sottolineando che il professor Comi aveva detto che non potevo non esserci. E così ci siamo trovati entrambi nella stessa sala: lui a presiedere il convegno, io a raccontarmi.

Naturalmente ho raccontato la nostra storia.

 

Villa Litta, 4 ottobre 2017 (foto): Conversazione su “Tutte le fortune”

Chi ha detto che la presentazione di un libro senza pubblico è un fallimento? Il 4 ottobre, a Villa Litta, la presentazione voluta da Giuseppe Lardieri, presidente del Municipio 9, si è trasformata magicamente in una conversazione profonda e appassionante sulla vita.

C’erano Beatrice Balzarotti, Leonardo Cardo, Vittorio Pentimalli, Giuseppe Lardieri, l’assessore alla cultura del municipio, il libraio e due persone del pubblico. Ci siamo seduti in cerchio. E tutto è avvenuto come per incanto…

The British School of Milan (14 dicembre 2016), presentazione di “Tutte le fortune” (foto)

40 anni. Tanti ne sono passati dall’ultima volta che ho varcato il cancello della Sir James Henderson School Milano, la scuola dove ho fatto le scuole medie. Quarant’anni dopo sono tornato per raccontare “Tutte le fortune” ai ragazzi degli ultimi due anni. Quarant’anni dopo ho rivisto Miss Dean e Mr. Cooper e sono tornato a respirare l’aria del mondo cosmopolita. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza Stefano Paparoni, studente dell’ultimo anno, figlio di Marco e Denise due amici storici, l’artefice della giornata. A Stefano devo un ringraziamento eterno per avermi fatto provare un’emozione che non avrei mai sperato.

 

 

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UN CINGALESE NON PUÒ SAPERE SPALARE LA NEVE

 (L’entrata dei box è nella via dietro il nostro condominio. Cento metri dopo c’è il nostro passo carraio privato. Dal cancello a via Pampuri, la prima via principale, i metri sono duecento. Duecento metri senza nome. E come tutte le vie orfane di un’identità i servizi di manutenzione, pulizia e spazzaneve, non sono previsti).

“Sir, è sempre più faticoso”. Fernando mi aggiorna in perfetto inglese.

Fernando è dello Sri Lanka. Alto come me. Pelle scurissima. Il portamento degli anglosassoni delle colonie. Ci parliamo in inglese. È più facile per entrambi. Mi chiama “Sir”. E quando provo a convincerlo di quanto sia ridicolo non sente ragioni. Così lo chiamo “Mr. Fernando”. Lui non vuole. Io non sento ragioni.

La neve è caduta per tutta la notte. Leggera. Insistente. Asciutta e farinosa. La mattina il posto macchine ci accoglie con cinquanta centimetri di fiocchi bianchi. Una barriera naturale che dovrebbe scoraggiare qualsiasi uscita. Dovrebbe.

“Mr. Fernando, come sono le strade?”

“Pulite, Sir”.

Sotto, sotto, speravo in questa risposta. Quelle due parole hanno ridotto istantaneamente la distanza tra casa e ufficio.

“Mr. Fernando, prendi il badile e libera il posto macchine dalla neve”.

Mr. Fernando non dice mai di no. Esegue. In poco più di 30 minuti i pochi metri dal cancello alla macchina sono stati liberati. O quasi. Mentre Mr. Fernando spalava si sono depositati altri venti centimetri di fiocchi.

Saltiamo in macchina e attraversiamo il cancello. La via senza nome ci aspetta con più di mezzo metro di neve. E una sfida lunga duecento metri. La strategia è di affrontarli in retromarcia. A velocità costante. Senza fermarsi. Si spera. Cinque metri e siamo fermi. Le ruote girano a vuoto. Siamo bloccati da un cumulo che abbiamo creato spingendo la neve e compattandola.

“Torniamo a casa, Sir?”, domanda Mr. Fernando dopo avermi descritto l’ostacolo.

“Non possiamo, Mr. Fernando. Alle le 12:30 abbiamo un appuntamento in ufficio per la firma di un contratto. Mi dispiace, ma deve spalare la strada fino a via Pampuri. Spali pochi metri. Spostiamo la macchina. Spala pochi metri. Spostiamo la macchina. E via così”.

Mr. Fernando aggredisce la neve. Il badile vortica come una catapulta. Pochi minuti. Sale in macchina. Arretriamo di cinque metri. Scende. Spala. Sposta la macchina. Scende. Spala. E continuiamo. Mr. Fernando sembra bionico. Ma dopo il quarto spostamento della macchina comincia a rallentare.

“Sir, è sempre più faticoso”, mi aggiorna Fernando nel suo inglese perfetto.

“Come mai?”, domando per cercare di capire l’entità del problema.

“Si fa sempre più difficile. C’è sempre più neve da spalare”, mi risponde Mr. Fernando con gli occhi che chiedono un po’ di indulgenza.

Mi guardo in giro. Saranno caduti altri cinque centimetri. Non capisco. Chiedo ulteriori spiegazioni. Continuo a non capire.

“Ok Mr. Fernando. Mi aiuti a scendere dalla macchina che do un’occhiata”.

Affondo nella neve appoggiato a Mr. Fernando. Appoggio attentamente i piedi nelle sue orme fino alla parte posteriore della macchina. Controllo di avere le gambe saldamente piantate. Alzo gli occhi. Che lentamente scorrono lungo il profilo di un cumulo di neve alto un metro e mezzo. Sospiro.

“Mr. Fernando, si suppone che la neve venga spalata ai lati della macchina… non dietro…”.

“Oh… Ora capisco Sir”

(febbraio, 2004)